Diari della pandemia
L’isolamento, la povertà, il silenzio ma anche la rivincita della vita negli scatti di Alessandro Gandolfi Il focus del Wired Next Fest 2020 è dedicato all’emergenza Covid
Nelle sue immagini ci sono i nuovi ospedali da campo nati nell’emergenza, i precari alla ricerca di un pasto alla Caritas, i Navigli silenziosi, ma anche la Lombardia a contagio-zero e le nuove vite nate nelle sale parto ai tempi del Coronavirus. Nei racconti fotografici di Alessandro Gandolfi ci sono i volti e i paradossi di una pandemia che ha seminato morte, ma anche nascita e speranza. Il fotografo e giornalista, socio fondatore dell’agenzia milanese Parallelozero, vincitore cinque volte del National Geographic’s Best Edit Award, sarà uno dei protagonisti di Wired Next Fest 2020, che domani apre con una due giorni focalizzata sull’emergenza sanitaria, con ospiti di prestigio come l’immunologo Alberto Mantovani, lo scienziato Assaf Shapira, il fisico Alessandro Vespignani.
Partendo dalle zone rosse è arrivato fino alla Lombardia a contagio-zero…
«Ho visitato una decina di paesini e borghi covid-free sperduti fra le valli a ridosso delle Alpi Orobie e della Valtellina, come Blello, Sernio, Magasa, dove l’isolamento e il distanziamento sociale hanno avuto un ruolo fondamentale per tenere alla larga il virus. Ho cercato di raccontare le storie di questi villaggi, salvati anche da amministrazioni comunali virtuose, con opere di risanamento di piazze e chat virtuali».
In questo viaggio nel cuore della pandemia ha immortalato i nuovi poveri…
«Sono andato alla ricerca di persone colpite da problemi economici durante il lockdown. Molti milanesi che stavano già vivendo delle difficoltà prima dell’emergenza e che il coronavirus ha aggravato. Un ragazzo licenziato a Linate, un parcheggiatore di San Siro, precari, cococo. La
Caritas mi ha indicato alcuni luoghi, come le docce pubbliche a Baggio. E poi alcuni soggetti disposti a farsi fotografare, bloccati a casa, senza reti di sicurezza sociale, che ho raccolto nel sito di Parallelozero in una sezione chiamata “Coronapoor” e nel nuovo portale “CoviDiaries.it”».
È entrato anche nelle sale parto degli ospedali milanesi…
«Si, sono andato nel reparto maternità del San Raffaele, del Buzzi, dell’Humanitas San
Pio X, per documentare le nascite nell’era del Covid-19. Ho cercato di raccontare la difficoltà nel partorire con la mascherina, in solitudine, in ospedali impegnati nell’emergenza. Donne incinte che dovevano fare esami tra mille complicazioni e mariti che assistevano al parto in diretta attraverso un tablet».
Ha documentato anche il silenzio.
«Questo reportage è nato nel 2019, e mai avrei pensato che sarebbe uscito a maggio,
in piena pandemia, con la foto della camera anecoica dell’Università di Ferrara sulla copertina del National Geographic. L’ultima foto aggiunta è stata quella dei Navigli isolati e deserti, una situazione atipica per il luogo più caotico di Milano».
Dopo la morte e la nascita, la ricerca della vita eterna. Può spiegare il progetto «Immortality»?
«Ho pensato di documentare la conservazione delle criogenie, dell’ibridazione uomo-macchina e gli enormi progressi compiuti dalla bioingegneria, della nanomedicina, della genetica e dell’intelligenza artificiale, del legame tra business e longevità, molto di moda nella Silicon Valley, dove è già diventata un’attività da miliardi di dollari».