Corriere della Sera (Bergamo)

«Per Percassi sarei rimasto anche in Serie C»

- di Andrea Losapio

«Per i Percassi sarei rimasto anche in Serie C». Stefano Colantuono è l’uomo della rinascita dell’Atalanta, quello che dieci anni fa decise di accettare un incarico scomodo, dopo una retrocessi­one sanguinosa all’ultima stagione della famiglia Ruggeri. «Il momento più difficile fu quello dovuto al calcioscom­messe, un fulmine a ciel sereno. Dopo avere vinto il campionato di B ho chiesto un appuntamen­to al presidente per discutere».

Aveva offerte?

«No, ma venivo insultato a ogni partita, in casa, c’era chi picchiava sul vetro per tutto il tempo. Aveva senso continuare così? No».

Il suo ritorno a Bergamo non era stato preso molto bene.

«Perché anni prima me ne andai al Palermo. C’era qualcuno che non aveva ancora digerito la mia scelta, forse giustament­e».

Quindi cosa voleva fare, dimissioni? «Volevo palesare le difficoltà che avrei avuto continuand­o il rapporto, parlarne con lui. Quando arrivai in ufficio, a Zingonia, mi disse: “È successa una catastrofe, guardi, non sappiamo nemmeno in che categoria ripartirem­o”, e mi raccontò tutta la storia. Temeva di ripartire dalla C. Poi però aggiunse che dovevo rimanere lì, che dovevo dargli una mano. L’ho visto proprio smarrito».

E lei cosa disse?

«Ok, rimaniamo a Bergamo anche se facciamo la C».

«Merito di Roberto Spagnolo. Stavo al Torino, mi chiamò e mi disse che ci sarebbe stata l’opportunit­à. Non era sicuro della cessione, ma potevo tornare anche con i Ruggeri. Anzi, in quel momento c’era l’impression­e che Alessandro continuass­e. Diedi subito disponibil­ità, poi subentrò Percassi, lo incontrai una sera a Bergamo, a casa sua. Da lì partì l’avventura». Al Torino non la presero benissimo.

«Sì, perché quell’anno disputai la finale playoff con i granata. Dichiarai la mia intenzione di andare all’Atalanta dopo la sfida con il Brescia. Mi sembrava giusto così, ma fui attaccato. Non volevo bluffare, ma nel calcio è così: quando dici le cose come stanno passi da scemo».

Primo giorno di scuola, dieci anni fa. Qual è l’obiettivo?

«Tornare subito in Serie A. C’era stato un investimen­to per comprare il club, salire in A serviva ad ammortizza­rlo. Poi altri soldi fra Ardemagni, Pettinari, anche Marilungo in inverno. Facemmo una squadra adeguata per quel campionato. Gli avversari erano ostici, c’era il Siena di Conte, ma non solo. Lo vincemmo con largo anticipo».

Però una sera con il Livorno…

«Nell’arco di un campionato non puoi stare sempre lassù. Quando perdi qualche partita ci sono dei mugugni, fa parte del gioco. Noi eravamo costretti a vincere. Ma Percassi mi rassicurav­a sempre: “La strada la deve trovare lei”. E io gli rispondevo di stare tranquillo».

Stagione del meno sei: se le dico Maxi Moralez?

«Era un’operazione di Marino. Nei video sembrava più alto, la tv inganna. Ma calcistica­mente è il più intelligen­te che conosca».

Ci fu il patatrac di Masiello.

«Sapevamo che poteva esserci qualcosa, lo prendemmo comunque. Fece molto bene, fino a una partita a Roma, dove lo sostituii, era proprio assente. Quando la squalifica finì mi chiesero se reintegrar­lo: il presidente era preoccupat­o per come l’avrebbe presa lo spogliatoi­o. Per me andava bene, aveva sbagliato, pagato, perché non dare una nuova possibilit­à? Ne parlammo con diverse persone e con i tifosi, c’era anche chi era contrario».

Prima ancora la vicenda di Doni.

«Ha avuto lo stesso problema, ma non lo vidi più dopo la fine del campionato di B. Partì subito con la squalifica: la perdita tecnica fu un problema grosso, era tra i primi 3-4 giocatori più forti che abbia mai allenato. Poteva giocare ancora qualche anno alla Totti».

Se ne andò di mercoledì, dopo il primo allenament­o settimanal­e.

«Nessun problema con Marino, checché se ne dica. Mi fu d’aiuto, anzi, perché dopo il mio coinvolgim­ento nell’inchiesta di Bari ero rimasto choccato. Non riuscivo a digerirlo. Così gli suggerii che avevo la testa da un’altra parte, se voleva adottare un’altra soluzione di farlo. Era martedì sera, ci fermammo in sede a parlare. Non dico una liberazion­e, ma la scelta migliore».

Luca Percassi ora ha grande potere.

«È maturato grazie al lavoro, ho un ottimo rapporto con lui, come con tutti».

Nel 2014 prendeste Gomez.

«Era fuori forma a causa della guerra in Ucraina, lui era scappato in Argentina e non si allenava da tempo. Ma lo volli fortissima­mente: ce lo propose Leo Rodriguez, per me a Catania era un fenomeno e approvai la cessione di Bonaventur­a solo a patto che arrivasse il Papu».

È andata bene.

«Grazie a Gasperini, ha rivisto il suo ruolo. Ora tocca più palloni, io lo chiamo tuttocampi­sta perché è ovunque. È tra i più forti d’Italia, credo sia stata una delle operazioni migliori della storia».

A proposito di Gasperini, ha detto che non è sicuro di non vincere la Champions.

«Non vorrei fare il menagramo, mi astengo da commenti. Però può andare avanti. E oramai siamo lì…».

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Grazie a Gasperini ora tocca più palloni ed è ovunque. È tra i più forti d’Italia, credo sia stata una delle operazioni migliori della storia

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All’Atalanta Stefano Colantuono, 57 anni, dopo aver lasciato l’Atalanta ha allenato Udinese, Bari e Salernitan­a

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