«Per Percassi sarei rimasto anche in Serie C»
«Per i Percassi sarei rimasto anche in Serie C». Stefano Colantuono è l’uomo della rinascita dell’Atalanta, quello che dieci anni fa decise di accettare un incarico scomodo, dopo una retrocessione sanguinosa all’ultima stagione della famiglia Ruggeri. «Il momento più difficile fu quello dovuto al calcioscommesse, un fulmine a ciel sereno. Dopo avere vinto il campionato di B ho chiesto un appuntamento al presidente per discutere».
Aveva offerte?
«No, ma venivo insultato a ogni partita, in casa, c’era chi picchiava sul vetro per tutto il tempo. Aveva senso continuare così? No».
Il suo ritorno a Bergamo non era stato preso molto bene.
«Perché anni prima me ne andai al Palermo. C’era qualcuno che non aveva ancora digerito la mia scelta, forse giustamente».
Quindi cosa voleva fare, dimissioni? «Volevo palesare le difficoltà che avrei avuto continuando il rapporto, parlarne con lui. Quando arrivai in ufficio, a Zingonia, mi disse: “È successa una catastrofe, guardi, non sappiamo nemmeno in che categoria ripartiremo”, e mi raccontò tutta la storia. Temeva di ripartire dalla C. Poi però aggiunse che dovevo rimanere lì, che dovevo dargli una mano. L’ho visto proprio smarrito».
E lei cosa disse?
«Ok, rimaniamo a Bergamo anche se facciamo la C».
«Merito di Roberto Spagnolo. Stavo al Torino, mi chiamò e mi disse che ci sarebbe stata l’opportunità. Non era sicuro della cessione, ma potevo tornare anche con i Ruggeri. Anzi, in quel momento c’era l’impressione che Alessandro continuasse. Diedi subito disponibilità, poi subentrò Percassi, lo incontrai una sera a Bergamo, a casa sua. Da lì partì l’avventura». Al Torino non la presero benissimo.
«Sì, perché quell’anno disputai la finale playoff con i granata. Dichiarai la mia intenzione di andare all’Atalanta dopo la sfida con il Brescia. Mi sembrava giusto così, ma fui attaccato. Non volevo bluffare, ma nel calcio è così: quando dici le cose come stanno passi da scemo».
Primo giorno di scuola, dieci anni fa. Qual è l’obiettivo?
«Tornare subito in Serie A. C’era stato un investimento per comprare il club, salire in A serviva ad ammortizzarlo. Poi altri soldi fra Ardemagni, Pettinari, anche Marilungo in inverno. Facemmo una squadra adeguata per quel campionato. Gli avversari erano ostici, c’era il Siena di Conte, ma non solo. Lo vincemmo con largo anticipo».
Però una sera con il Livorno…
«Nell’arco di un campionato non puoi stare sempre lassù. Quando perdi qualche partita ci sono dei mugugni, fa parte del gioco. Noi eravamo costretti a vincere. Ma Percassi mi rassicurava sempre: “La strada la deve trovare lei”. E io gli rispondevo di stare tranquillo».
Stagione del meno sei: se le dico Maxi Moralez?
«Era un’operazione di Marino. Nei video sembrava più alto, la tv inganna. Ma calcisticamente è il più intelligente che conosca».
Ci fu il patatrac di Masiello.
«Sapevamo che poteva esserci qualcosa, lo prendemmo comunque. Fece molto bene, fino a una partita a Roma, dove lo sostituii, era proprio assente. Quando la squalifica finì mi chiesero se reintegrarlo: il presidente era preoccupato per come l’avrebbe presa lo spogliatoio. Per me andava bene, aveva sbagliato, pagato, perché non dare una nuova possibilità? Ne parlammo con diverse persone e con i tifosi, c’era anche chi era contrario».
Prima ancora la vicenda di Doni.
«Ha avuto lo stesso problema, ma non lo vidi più dopo la fine del campionato di B. Partì subito con la squalifica: la perdita tecnica fu un problema grosso, era tra i primi 3-4 giocatori più forti che abbia mai allenato. Poteva giocare ancora qualche anno alla Totti».
Se ne andò di mercoledì, dopo il primo allenamento settimanale.
«Nessun problema con Marino, checché se ne dica. Mi fu d’aiuto, anzi, perché dopo il mio coinvolgimento nell’inchiesta di Bari ero rimasto choccato. Non riuscivo a digerirlo. Così gli suggerii che avevo la testa da un’altra parte, se voleva adottare un’altra soluzione di farlo. Era martedì sera, ci fermammo in sede a parlare. Non dico una liberazione, ma la scelta migliore».
Luca Percassi ora ha grande potere.
«È maturato grazie al lavoro, ho un ottimo rapporto con lui, come con tutti».
Nel 2014 prendeste Gomez.
«Era fuori forma a causa della guerra in Ucraina, lui era scappato in Argentina e non si allenava da tempo. Ma lo volli fortissimamente: ce lo propose Leo Rodriguez, per me a Catania era un fenomeno e approvai la cessione di Bonaventura solo a patto che arrivasse il Papu».
È andata bene.
«Grazie a Gasperini, ha rivisto il suo ruolo. Ora tocca più palloni, io lo chiamo tuttocampista perché è ovunque. È tra i più forti d’Italia, credo sia stata una delle operazioni migliori della storia».
A proposito di Gasperini, ha detto che non è sicuro di non vincere la Champions.
«Non vorrei fare il menagramo, mi astengo da commenti. Però può andare avanti. E oramai siamo lì…».
Gomez
Grazie a Gasperini ora tocca più palloni ed è ovunque. È tra i più forti d’Italia, credo sia stata una delle operazioni migliori della storia