Corriere della Sera (Bergamo)

Da tamponi a lievito La quarantena in parole

Il vocabolari­o con una sessantina di autori: a Longuelo l’esperiment­o di scrittura collettiva

- di Silvia Seminati

Un vocabolari­o di 66 parole per raccontare la quarantena. Un instant book collettivo, scritto da una sessantina di parrocchia­ni di Longuelo e non solo. È appena uscito il libro

«Parole — spiega l’introduzio­ne — per provare a ricomincia­re, idee buone per ripartire. Senza fretta, non subito e non come prima».

Mario Ravasio sceglie la parola Abbraccio, come quello che si sono dati Giorgio, 77 anni, e Rosa, 74, coniugi da più di mezzo secolo, all’ospedale di Cremona, dove sono stati ricoverati entrambi. Manuela Malighetti spiega la quarantena con la parola Autocertif­icazione,

il documento necessario per uscire di casa. C’è anche Balcone in questo vocabolari­o: Gloria Albani racconta il tempo passato sul terrazzo, dove intrecciar­e relazioni con le persone con cui prima ci si scambiava un solo saluto. E poi Bandiera, che «ci rimanda — scrive Maria Elena Nardari — all’immagine di una comunità nazionale mutilata». Lilli Maisano e Alberto Schiantare­lli scelgono la parola Bricolage perché in casa ci sono tante magagne che chiedono interventi immediati. Don Massimo Maffiolett­i, parroco di Longuelo e motore di questa iniziativa, parla dei poveri, quelli che una casa in cui stare non ce l’hanno. La sua parola è Candele, quelle usate da chi la notte dorme fuori, al buio, da solo, e ha paura. Monica Ferrante parla della Coda, che tutti hanno imparato a fare prima di entrare nel supermerca­to o nei negozi di quartiere. E poi la Corsa nel piano interrato dei garage che per Maria Cremaschi è sinonimo di «reinventar­si», ma anche di «adattarsi», nelle settimane in cui si deve stare in casa. La parola scelta da Gaia della Volta è Distanza, perché «all’improvviso si è fatto tutto distante», gli amici, i parenti, i luoghi e le abitudini. E anche perché la distanza di sicurezza è diventata la regola da seguire. Tra gli oggetti dell’emergenza ci sono pure i guanti e Benedetta Montanini racconta che «tutto è filtrato, dai nostri sensi ai nostri movimenti, ai nostri contatti». Nel vocabolari­o ci sono le Lacrime di Chiara Manenti e la Laurea in videoconfe­renza di Giulia Locatelli. C’è il Lievito di Giulia Viganò e Michele Artifoni: la quarantena, dicono, ha insegnato ad amare la semplicità di quei valori che fanno crescere. Il libro racconta poi il Lutto (sospeso) di Paola Bortolotti, che ha perso la mamma. E la Mascherina, oggetto simbolo della pandemia, «così semplice e così necessaria», scrive Elio Longhi. Nadia e Battista Villa raccontano le videochiam­ate con i Nipoti, mentre Valentina Ghilardi, che è medico, sceglie la parola Ossigeno perché per settimane le sue giornate lavorative hanno gravitato intorno a questa parola. Roberto Cremaschi sceglie lo Slogan «andrà tutto bene» che proprio non gli piace. Alberto Fascetto racconta lo Smart working, che gli ha permesso di vedere crescere sua figlia, mentre Lucia Bonomi, anche lei medico, parla del Tampone, fatto più volte, e dell’attesa degli esiti.

L’instant book «Parole per provare a ricomincia­re, senza fretta, non subito e non come prima»

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