Gli «stipendi» dei migranti e la soglia da non superare
I due filoni Rinnovamento e Ruah-Diakonia: in uno risultano sforati i 4.800 euro, nell’altro no
In agricoltura, tanti. Ma anche un pizzaiolo, un meccanico, un lavapiatti. Numerosi richiedenti asilo lavoravano. Un’immagine lontana da quella dei giovanotti nei cortili dei centri di accoglienza, dei primi tempi dell’emergenza sbarchi.
Era un bene anche per i gestori. Ne parlano al telefono, intercettati a loro insaputa dai carabinieri del Nucleo investigativo che stavano indagando sulla presunta truffa dei 35 euro giornalieri pagati dallo Stato: così «non c’è bisogno di star lì a pensare alle noccioline». Tradotto, non c’era tensione sui dettagli. «Al Gleno ne ho 50 che vanno a lavorare», dice Bruno Goisis, presidente della cooperativa Ruah, al gestore di un altro centro. È maggio 2018, un’azienda agricola va a prendere i ragazzi e li porta a raccogliere la frutta in Franciacorta. Dove lavorano gli uni, anche gli altri vogliono farlo. Uno stipendio consente un’altra vita rispetto ai 2,50 euro di pocket money.
Ma è anche un nodo dell’indagine. Se il richiedente asilo guadagna, esce dall’accoglienza. Di conseguenza, il centro che lo ospita perde i 35 euro quotidiani per vitto e alloggio. Ma se non lo comunica alla Prefettura, e continua a ricevere i contributi, commette una truffa. Novità e regole si susseguono. In quel periodo, i gestori sono in subbuglio dopo alcune ispezioni della Prefettura. C’è maretta con alcune cooperative. Francesco Bezzi, economo di Diakonia (Caritas), a settembre ha una discussione con una funzionaria che gli chiede del contratto di un migrante. «Sono pagati dallo Stato — dice lei — e mi sembra il minimo, se uno guadagna 1.500 euro, dal Cas può uscire». Lui si lamenta che mancano chiarimenti sul tetto massimo, parla di contrattini da 500 euro al mese. Un confine c’è e ha un peso nelle valutazioni del pm Fabrizio Gaverini: il tetto è di 4.800 euro all’anno, l’equivalente dell’assegno sociale.
Nonostante nelle conversazioni si parli anche di «bianco e nero», lasciando intendere che non tutto il lavoro fosse regolare, nel filone Ruah/ Diakonia non sono emerse evidenze di stipendi oltre la soglia. Si spiega anche così perché l’indagine su questo fronte, con 38 avvisi di garanzia, abbia avuto evoluzioni diverse rispetto al primo filone della cooperativa Rinnovamento, di Romano di Lombardia, con padre Antonio Zanotti, l’economo Giovanni Trezzi e la presidente Anna Maria Preceruti agli arresti domiciliari.
Nell’ordinanza, il gip Lucia Graziosi riporta quando, a febbraio 2018, un imprenditore chiede a Trezzi quanto debbano prendere i migranti per non uscire dall’accoglienza. Lui gli spiega dei 4.800 euro. «Gli faccio tre mesi con tre mesi», si adegua l’interlocutore. E Trezzi: «Tu puoi fare un contratto poi se gli dai la mancia non so». Di un altro ragazzo dice che «è una cosa bella che lavori». È aprile 2018, il gip sottolinea che il ragazzo «aveva già perso pacificamente il diritto di rimanere nella struttura» ma «il check out veniva effettuato più di tre mesi dopo». Per Trezzi «può essere un boomerang».
Il tetto massimo Per non perdere l’accoglienza, gli ospiti non potevano guadagnare di più