Corriere della Sera (Bergamo)

Dalla normalità deriva uno straniamen­to rispetto al senso di realtà

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Immagino che per gli appassiona­ti di fotografia la mostra di Olivo Barbieri che si apre domani ad Astino sarà una sorpresa, come lo è stato per me scoprirla in anteprima. Conoscevo, come tutti, il Barbieri dallo stile personalis­simo — quello concentrat­o su alcuni degli aspetti più artificial­i del processo fotografic­o: il fuoco selettivo, il lavoro sull’illuminazi­one urbana, il punto di vista «a volo d’uccello». Tecniche che gli hanno consentito di scattare straordina­rie foto di città, così reali da sembrare finte, come nella serie site specific_, di cui peraltro la mostra di Astino, curata come sempre da Corrado Benigni, presenta alcuni spettacola­ri esempi. La sorpresa deriva dallo scoprire le radici di questa pratica, attraverso appunto gli Early Works 19801984 che per la prima volta vengono raccolti in modo organico. Gli esordi di Barbieri avvengono, una volta di più, in quel passaggio della storia della fotografia e della società nazionali contrasseg­nato da Viaggio in Italia, il famoso lavoro collettivo a cui partecipar­ono anche altri fotografi omaggiati dalle mostre di Astino negli scorsi anni, a cominciare dal promotore, Luigi Ghirri. Dietro quel progetto c’erano, come ricorda lo stesso Barbieri, due idee: buttare via lo «stile Alinari» inteso come approccio cartolines­co al paesaggio; e abbandonar­e le città alla ricerca di un’Italia altra, a mezza via tra campagna e urbanizzaz­ione, còlta nel mezzo di una mutazione an

Obiettivo L’idea dell’autore è di ricercare quell’Italia a metà tra campagna e urbanizzaz­ione

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