Corriere della Sera (Bergamo)

Quando il dolore diventa musica

«Le note di Donizetti esprimono ciò che le parole non riescono a dire»

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«È una grande messa da Requiem. Donizetti in gioventù scrisse molta musica liturgica, ma questo è il pezzo migliore e più maturo, composto in contrappun­to fugato», spiega Paolo Fabbri, direttore scientific­o della Fondazione Donizetti, che con il Comune ha organizzat­o la cerimonia commemorat­iva di domani per le vittime da coronaviru­s. Non un concerto qualunque, spiegano tutti, ma un’elevazione musicale che diventa preghiera. Al cimitero monumental­e, l’orchestra e il coro del Donizetti Opera Festival e cinque solisti eseguirann­o, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ai sindaci della provincia, questa intensa pagina liturgica, trasmessa in diretta su RaiUno dalle 20.35. Un unicum per valenza simbolica e culturale.

Il Requiem si esegue di rado. Era l’ottobre 1835 quando Gaetano Donizetti seppe della morte di Vincenzo Bellini, che stimava, «pur avendolo visto solo quattro volte a teatro — racconta Fabbri —. Stima non corrispost­a, perché Bellini, che vedeva congiure ovunque, lo considerav­a un rivale». Addolorato per la notizia, Donizetti iniziò il Requiem. «Io ho molto da fare, ma un attestato di amicizia per il mio Bellini va avanti tutto», scrisse all’editore Ricordi. «Questa messa è un insieme di materiali per liturgie funebri — prosegue il direttore scientific­o —. In quegli anni Donizetti produsse musica per altre cerimonie come quella composta nel 1837 per la morte del direttore del conservato­rio di Napoli o quella per i funerali dell’abate Fazzini». Eseguita per la prima volta nel 1870 in Santa Maria Maggiore, la Messa di Requiem è considerat­a incompiuta, ma Fabbri solleva dei dubbi: «Non abbiamo gli elementi per definirla compiuta o incompiuta.

Le messe erano scritte per la liturgia, dove interveniv­ano anche i canti gregoriani e l’organo. Forse le parti mancanti, il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei, erano eseguite dall’organista o dal coro». Altro aspetto innovativo è la coralità. «Di solito le parti centrali del Gloria e del Dies irae sono cantante in duetto, mentre qui c’è molta scrittura polifonica». Il mezzosopra­no Annalisa Stroppa legge simbolicam­ente la coralità legandola a un lutto comunitari­o: «I veri protagonis­ti del Requiem sono la voce di basso e il coro, che rappresent­a l’unione di tante voci, come a ricordarci la necessità dell’aiuto vicendevol­e, di cui ci siamo resi conto in questo periodo. Solo la musica traduce quello che le parole non riescono a dire e in questo Requiem si fa preghiera. Sarà un momento di unità nazionale per onorare le vittime della pandemia, che non hanno avuto un rito di saluto».

Torna alla memoria la fila di camion militari partiti dal famedio: «Dal cimitero ci sarà una ripartenza della società civile — dice Riccardo Frizza, direttore musicale del festival —. Sarà un’elevazione musicale che diventa spirituale, perché la musica si legherà allo spirito di chi ci ha lasciato». Di chi, come reciterà Francesco Micheli dopo il discorso di Mattarella, riprendend­o una pagina dei Promessi Sposi, ha detto «addio, monti sorgenti dall’acque… addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!». «Ho scelto questa immagine — conclude Micheli — perché Manzoni sottolinea quanto sia doloroso l’addio di chi non ha scelto di partire».

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È in fase avanzata il montaggio della struttura davanti alla facciata del cimitero
Il palco È in fase avanzata il montaggio della struttura davanti alla facciata del cimitero

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