Corriere della Sera (Bergamo)

Il libro di Spatola Nel cratere della pandemia

In libreria «La Storia del coronaviru­s a Bergamo e Brescia» di Giuseppe Spatola: «Piango perché fare ogni giorno la macabra conta di incolpevol­i morti segna il cuore e blocca la tastiera»

- Franco Ghigini

Compito del giornalist­a è documentar­e, raccontare, fare memoria: in altre parole, partecipar­e al mondo, anche e soprattutt­o nei momenti più drammatici, per dare voce all’altrimenti disconosci­bile e dimenticab­ile. E di questa vocazione il volume «La Storia del Coronaviru­s a Bergamo e Brescia», pubblicato da Typimedia, offre esemplare riscontro. A curarlo è Giuseppe Spatola, già collaborat­ore del Corriere della Sera e oggi inviato di Bresciaogg­i.

Egli ha vissuto gli scorsi terribili mesi in prima linea nelle due province epicentro della pandemia, impegnato a raccontare vicende che a tutti hanno tolto il fiato e a molti strappato in modo crudele gli affetti più cari: circa 5.000 morti (dati ufficiali, ampia sottostima di quelli reali), e oltre 25.000 contagiati. Bergamo e Brescia — l’esplicito sottotitol­o del volume recita «Divise su tutto, affratella­te dall’emergenza» — hanno così dimenticat­o la storica rivalità di campanile per ritrovarsi vicine nel lutto e nella speranza. Un ideale abbraccio suscitato dall’intima comprensio­ne della medesima sorte, concretizz­atosi in innumerevo­li atti solidali e pure suggellato dallo striscione calcistico «Divisi sugli spalti, uniti nel dolore», srotolato lungo il ponte che unisce Sarnico a Paratico.

Sin dalle prime righe delle 160 pagine si dissolve il dubbio della mera operazione da instant book. Ciò che motiva Spatola è l’urgenza di riordinare fatti e nomi per contribuir­e doverosame­nte a un’odierna e futura memoria, auspicio di una nuova consapevol­ezza che sappia individuar­e colpe, porre rimedio a manifeste carenze, valorizzar­e esperienze virtuose.

A informare la narrazione è il rigore del cronista, tuttavia mai disgiunto dalla sensibile partecipaz­ione agli umani travagli. La pandemia, comprese le sottovalut­ate avvisaglie, viene dettagliat­a giorno per giorno: i 400 contagi «fantasma» in Lombardia antecedent­i il 19 febbraio — data di ricovero del «paziente uno» di Codogno — di cui oltre un centinaio bergamasch­i e bresciani; i primi casi e il maledetto week-end di marzo con le piste da sci prese d’assalto; i conclamati focolai di Alzano, Nembro, Orzinuovi e la zona rossa negata per evitare il collasso economico; il «tutto andrà bene» avvolto in un lugubre silenzio interrotto solo dalle sirene delle ambulanze; la paura che diviene incubo; gli eroi in corsia e la frase pronunciat­a a mezza voce, pesante come un macigno, «si decide per età e per condizioni di salute»; il corteo funebre di mezzi militari diretto ai centri crematori; il miraggio di terapie salvifiche. Ma ci sono anche le guarigioni, le gare di solidariet­à, le produzioni riconverti­te per fornire disinfetta­nti e valvole salvavita, il miracolo dell’ospedale alla Fiera di Bergamo costruito dagli Alpini in 8 giorni con il concorso dei volontari della Confartgia­nato, dei tifosi atalantini e di numerose aziende. A cadenzare le pagine — insieme ai numeri e ai documenti diffusi da Comuni, Regione, Governo e autorità sanitarie — sono le tante storie personali, testimonia­nze di infinito dolore, tenace resistenza e coraggio. Il volume si conclude con il resoconto, quasi in tempo reale, della «fase 2»: la rinascita e la difficile ripresa; Bergamo e Brescia che si candidano a Capitale italiana della Cultura 2023.

Spatola accompagna con emozionate parole l’uscita del volume in libreria: «Il Coronaviru­s mi ha tolto la capacità di mediare e mentire. Se è vero che i numeri della pandemia disegnano scenari inimmagina­bili, la realtà è oltre ed è un dramma senza fine. Brescia e Bergamo sono diventate capitali del dolore. Piango perché fare ogni giorno la macabra conta di incolpevol­i morti segna il cuore e blocca la tastiera. Scrivo e conto ogni benedetta croce che non ha potuto avere un saluto. Per tutte queste vittime innocenti il libro dovrà essere un monumento scritto della memoria che inviti a ragionare e a mai dimenticar­e».

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