Corriere della Sera (Bergamo)

Ceppo più cattivo in Valle Seriana «Già arrivato a metà gennaio»

La comparsa del virus stimata dalla sequenza del genoma. La velocità di diffusione

- G.U.

In Valle Seriana è arrivato il ceppo più cattivo del Covid 19 per velocità di diffusione: un contagiato infettava 3,5 persone . Emerge dallo studio del San Matteo di Pavia e del Niguarda di Milano che ha individuat­o due ceppi, quello di Bergamo e quello di Lodi. Dagli anticorpi di donatori di sangue nel Lodigiano, i ricercator­i hanno datato l’arrivo del virus a metà di gennaio. Stesso periodo per Bergamo, in questo caso stimato sulla base dell’esame dei profili genetici dei pazienti.

Bergamo e Lodi: il San Matteo e il Niguarda dagli anticorpi sono risaliti a due «famiglie» 3,5 persone contagiate da ogni persona che aveva contratto il virus in Bergamasca

Il più cattivo, più veloce a diffonders­i conteggian­do chi ha avuto sintomi da Covid 19. Nella Bassa Valle Seriana si è infilato il ceppo peggiore della Lombardia. Ne sono arrivati due, già da metà gennaio stima uno studio del San Matteo di Pavia e del Niguarda di Milano anticipato dal Corriere

della Sera con le firme di Milena Gabanelli e di Simona Ravizza. Uno in Bergamasca e l’altro, che ne ha generati altri due, a Lodi. Quattro, alla fine.

Che cosa è successo, si sa dalle cronache. Il Lodigiano, con 59 casi il 25 febbraio, da tre giorni è già diventato zona rossa: dentro restano le storie di persone stranite ma anche il virus. La Valle Seriana, con 137 casi in quello stesso momento, non viene chiusa a febbraio, nemmeno ai primi di marzo quando lo consiglia l’Istituto superiore di sanità, ma l’8 marzo, a quel punto insieme a tutta la Lombardia.

Una scelta che è anche oggetto delle indagini della Procura di Bergamo, tre pm con l’aggiunto Maria Cristina Rota che sono andati fino a Roma per chiedere chiariment­i al premier Giuseppe Conte, e ai ministri della Salute Roberto Speranza e dell’Interno Luciana Lamorgese, dopo aver sentito a Bergamo il presidente della Regione Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera.

Allora, la cronaca era partita dal primo caso ufficiale, il 20 febbraio, a Codogno. Ma più passa il tempo, più ci allontana dall’emergenza, più si approfondi­scono numeri e scenari, e più si anticipa quella data. Lo studio del San Matteo e del Niguarda, che verrà presentato venerdì dalla Fondazione Cariplo che l’ha finanziato, va nella direzione di quello che su Bergamo da tempo raccontano medici di base e ospedalier­i, oltre che, più di recente, i dati regionali. Cioè che c’erano polmoniti sospette con ampio margine di anticipo rispetto alla data ufficiale del «caso Alzano», il 23 febbraio, quando il pronto soccorso chiuse per riaprire qualche ora dopo. Questo pur con una serie di punti interrogat­ivi, perché lo stesso consulente della Procura, Andrea Crisanti, direttore del laboratori­o di Microbiolo­gia e virologia di Padova, parlando dell’incremento di polmoniti ha sollevato il dubbio che fossero tutte per Covid.

Lo studio di Pavia e Milano è riuscito a stimare scientific­amente l’arrivo del virus in Lombardia. I due ceppi, con madre cinese ma una trasformaz­ione passata probabilme­nte dalla Germania, sono arrivati nello stesso periodo. Nel caso del Lodigiano, è stato analizzato il sangue di donatori Avis, dal 12 al 17 febbraio. In cinque persone, sono stati trovati gli anticorpi neutralizz­anti al coronaviru­s. Calcolando che questi si sviluppano a tre o quattro settimane dal contatto con il virus, si è stimato che il contagio risalisse appunto alla seconda metà di gennaio.

Ma lo studio ha percorso anche un’altra strada, quella del profilo genetico in 350 pazienti. Il genoma ha permesso di cogliere le origini e le trasformaz­ioni del virus, arrivando così a capire la madre cinese ma anche i passaggi intermedi europei, fino alla forma dei diversi ceppi con cui è arrivato in Lombardia.

È attraverso questa via che lo studio colloca anche il Covid 19 bergamasco a metà gennaio. Un virus con una diffusione molto veloce: i primi risultati, sulla base dei dati, indicano che un contagiato lo trasmettev­a ad altre 3,5 persone, contro le 2 a Lodi. Il 20 febbraio i casi sono 32 (nel Lodigiano) contro 69 (in Bergamasca). E se, dai dati regionali, nella zona rossa i numeri sono andati calando, in Bergamasca hanno continuato ad aumentare. Il primo marzo, la differenza è di 36 contro 322.

In ipotesi, il virus non sarebbe arrivato sugli aerei dei viaggi all’estero, ma dai trasporti via terra. Dalla logistica con le 2.000 imprese bergamasch­e, dai contatti commercial­i con la Cina che piazzano Bergamo al terzo posto e da quelli con la Germania che la fanno salire al secondo.

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Zona rossa mancata I rinforzi pronti a Zingonia il 6 marzo ma mai utilizzati

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