Omicidio Mancuso, mandante e killer condannati all’ergastolo
Como, la sentenza per il camionista ucciso nel 2008
COMO Ergastolo. La condanna è risuonata due volte nell’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Como, dodici anni dopo l’omicidio di Franco Mancuso, ucciso nell’agosto del 2008 in un bar di Bulgorello di Cadorago. Un’esecuzione di stampo ’ndranghetista per l’accusa che ha chiesto la condanna al carcere a vita per i presunti mandante ed esecutore materiale, Bartolomeo Iaconis e Luciano Rullo. La sentenza di primo grado conferma la ricostruzione del delitto tracciata dal magistrato della Direzione distrettuale antimafia, Cecilia Vassena. L’indagine su quello che sembrava un delitto irrisolto è stata riaperta dopo le dichiarazioni, nel 2015, del pentito Luciano Nocera, figura chiave della ’ndrangheta comasca. Le sue parole hanno permesso agli inquirenti la svolta sfociata nell’arresto con l’accusa di omicidio di Iaconis, 61 anni, originario di Giffone (Reggio Calabria), ritenuto «figura di spicco» del «locale» di ’ndrangheta di Fino Mornasco, e di Rullo, 51enne di Como, indicato come l’esecutore materiale del delitto.
Franco Mancuso, autotrasportatore di 35 anni, avrebbe pagato con la vita uno sgarbo al boss, un affronto in pubblico che Iaconis aveva deciso di lavare con il sangue. Per dirla con le parole di Cecilia Vassena, l’omicidio al bar Arcobaleno di Bulgorello è stata «un’esecuzione, voluta per eliminare un uomo irascibile, spesso sopra le righe, in un territorio in cui Iaconis era il punto di riferimento». Mancuso «aveva superato la misura e l’omicidio doveva servire come monito, per riaffermare il prestigio della ’ndrangheta sul territorio. Iaconis – ha spiegato ancora il pm antimafia —, nel suo territorio dava consigli, ricomponeva controversie, trovava lavoro. In cambio, in perfetto stile mafioso, voleva influenza e autorevolezza, che Mancuso non aveva riconosciuto».
Gli imputati hanno sempre negato qualsiasi tipo di coinvolgimento nell’omicidio. I difensori, Jacopo Cappetta per Luciano Rullo e Maurizio Gandolfi per Bartolomeo Iaconis, hanno sostenuto una tesi opposta e chiesto l’assoluzione per entrambi. «Dopo l’omicidio, l’indagine era stata condotta in un’unica direzione, quella che portava a Iaconis, ed era stata archiviata — ha detto Cappetta —. È stata riaperta solo in base alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Luciano Nocera, che ha mentito su molti punti e si è rivelato un bugiardo già nel processo che lo ha visto imputato e condannato all’ergastolo per un altro omicidio. Abbiamo sentito 75 testimoni e solo Nocera ha puntato il dito contro Rullo».
La Corte ha riconosciuto un risarcimento in via provvisionale ai familiari di Mancuso, a partire dalla vedova e dai tre figli, di 400 mila euro in attesa della definizione in sede civile. I due imputati hanno partecipato al processo e ascoltato la lettura della sentenza collegati in videoconferenza dal carcere. Anche il collaboratore di giustizia Nocera ha reso la sua testimonianza a distanza, ma nel suo caso senza che l’aula potesse vedere il suo volto. Nelle stesse ore il Tribunale di Milano ha confiscato a Iaconis i beni sequestrati lo scorso anno: una palazzina ad Appiano Gentile, due società, terreni, un box e un ranch a Oltrona San Mamette, conti e denaro contante. Beni per un valore di almeno 1,7 milioni di euro, in parte intestati a familiari, che hanno portato i giudici a parlare di «evidente sperequazione tra stile di vita e redditi dichiarati» da un uomo il cui nome, già nel 1979 era stato per la prima volta associato a quello della ’ndrangheta.