Covid, 8 su 10 a rischio in città
Non si smuove il dato del 21% con anticorpi. Ma intanto al Papa Giovanni un solo ricoverato in terapia intensiva
I dati che arrivano dagli ospedali sono più che confortanti, basti dire che al Papa Giovanni c’è un solo ricoverato in terapia intensiva per il coronavirus. Gli accessi al pronto soccorso sono ridotti al minimo. Ma la popolazione di città risulta ancora ampiamente «scoperta» e non immune: non si smuove dal 26 giugno, mentre prosegue la campagna di test sierologici, il dato del 21% di residenti che risultano positivi agli anticorpi (8 su 10 ancora a rischio contagio). L’Ats stima che in provincia si arrivi tra il 30 e il 35%. C’è ancora da temere? L’Agenzia punta a far ripartire i tavoli con i medici di base in vista dell’autunno. «Manteniamo alta la guardia», dice il direttore dell’Epidemiologia.
I nuovi contagiati non hanno quasi mai sintomi, ma nessuno può dire che il virus è più debole Ci sono, è vero, dati positivi dagli ospedali
Credo che certe regole, come sulle distanze, siano di buon senso, anche se non dovessimo usare più la mascherina
Alberto Zucchi
Epidemiologia Ats A Bergamo il 21,2 con anticorpi: il Comune si aspettava un dato più alto Dopo il ritiro dei medici di base, l’Ats sospende l’incontro per il tavolo di Agorete 18 mila residenti in città si sono sottoposte al test sierologico: una possibilità data dal Comune
Se i test sierologici servono a dire quanto una popolazione è già «armata» contro il coronavirus o quanto è indifesa, anche qui, allora anche a Bergamo e provincia non c’è ancora da stare tranquilli. Il sindaco Giorgio Gori e il capo di gabinetto Cristophe Sanchez, commenteranno, a campagna finita, i dati sui sierologici in città messi a disposizione con le cliniche private. Ma in Comune ci si aspettavano dati un po’ più alti, sulla presenza di anticorpi: al momento è risultato positivo al sierologico il 21,2% della popolazione che si è sottoposta al test (18.597 persone), un dato che non si smuove dal 26 giugno. Solo lo 0,54% è poi positivo al tampone, e lo 0,41% risulta «debolmente positivo». A fronte dei primi dati sulla Val Seriana (condizionati però da una popolazione selezionata in base a sintomi o contatti con contagiati), arrivati fino al 60% di residenti con anticorpi, in città ci si aspettava un’incisività maggiore del virus. Che invece non c’è stata: quasi 8 residenti su 10 sono ancora a rischio contagio.
Anche il servizio di Epidemiologia di Ats ha una sua stima su scala provinciale: in via definitiva dovrebbe assestarsi tra il 30 e il 35% il dato dei bergamaschi che hanno già contratto il virus e quindi sviluppato gli anticorpi. È una forbice che nasce da una valutazione sulla prima campagna di sierologici, fatta in accordo con la Regione: dal 60% in Val Seriana si era passati al 52% complessivo, su un campione di 12 mila persone. Ma si trattava, appunto, di una popolazione selezionata in base a sintomi già rilevati dai medici di base oppure con il criterio di periodi di quarantena già osservati dopo un contatto con un paziente. Un 52 per cento, quindi, da scremare e sottoporre ad altri parametri statistici, «asciugato» fino a quell’intervallo tra 30 e 35. Ma anche in questo caso, come aveva dichiarato circa due mesi fa il direttore generale del San Matteo di Pavia Carlo Nicora: «Significa che se ci sono 10 persone al bar, almeno sei rischiano il contagio». Curioso ricordare, tra l’altro, che già a fine marzo l’agenzia Intwig, oltre a stimare la mortalità in eccesso sul territorio provinciale, aveva anche valutato quante persone, fino a quel momento, potessero aver contratto il virus, oltre i numeri ufficiali ben più bassi: «Secondo noi 288 mila persone», diceva il Ceo Aldo Cristadoro, con un numero che allora poteva sembra mostruoso, ma risultava molto vicino alla realtà.
Questi i numeri, senza dimenticare che ci sono ancora dubbi sulla reale capacità di difesa degli anticorpi. «Questo perché non conosciamo ancora del tutto il coronavirus — commenta Alberto Zucchi, direttore del Servizio di Epidemiologia dell’Ats di Bergamo —. Ma è un’immunità che dovrebbe durare, una prima prova sta nell’efficacia del plasma utilizzato per i pazienti».
Per capire se bisogna ancoma ra aver paura vanno considerati, però, anche i dati clinici. Il Covid-19 è quasi del tutto sparito dagli ospedali, non si registrano accessi frequenti ai Pronto soccorso. Al Papa Giovanni, ci sono in tutto 36 ricoverati, di cui uno solo in Terapia intensiva. «I nuovi contagiati sono quasi tutti debolmente positivi — sottolinea Zucchi — non c’è quasi mai sintomaticità. In buona parte si tratta di persone senza sintomi» (anche ieri 17 nuovi contagiati sul territorio bergamasco, su un totale di 111 in Lombardia). Un quadro a due facce, quindi, sugli anticorpi e dagli ospedali. «Ma nessuno può dire che il virus è più debole, quelli clinici sono comunque indicatori indiretti, per quanto positivi e confortanti».
Il direttore di Epidemiologia dell’Ats conclude con un ragionamento ampio: «Siamo in una fase calante della curva del contagio, decisamente, non è detto che si arrivi presto a zero e dobbiamo aspettare di scoprire il Covid fino in fondo. Credo che nell’immediato, e in prospettiva, debba restare una certa allerta, perché l’immunità di gregge di fatto non è stata raggiunta sul territorio bergamasco, in nessuna area. Magari tra pochi giorni verrà meno il divieto di tenere la mascherina, ma ritengo che certe regole di comportamento, sul distanziamento, siano una questione di buon senso. E in più è necessario mantenere acceso un sistema d’allerta che possa permetterci di tornare in azione in tempi brevi, in caso di emergenza. L’esperienza di marzo e aprile ci ha insegnato molto».
Intanto ieri l’Ats ha comunicato di aver sospeso l’incontro, previsto per oggi, di Agorete (Accordo per il Governo delle Reti territoriali), dopo il ritiro dal tavolo dei medici di base. «La decisione — spiega il direttore generale Massimo Giupponi — è stata presa con l’obiettivo di favorire l’individuazione di una soluzione che consenta una ripresa convinta di tutte le componenti presenti al tavolo, a partire dai medici di medicina generale. Il lavoro è finalizzato alla definizione di un piano di emergenza da ultimare entro l’inizio del prossimo autunno.