Le squadre speciali dei medici a domicilio Da progetto pilota a occasione mancata
Le squadre di medici a domicilio hanno fatto 1.920 interventi in tre mesi. E ora il personale viene ridotto
Per la Bergamasca la legge prevedeva 22 Usca, ma durante la pandemia ne sono state attivate solo 6. È il dato che emerge nella risposta a una richiesta di accesso agli atti del consigliere regionale Jacopo Scandella. Le Usca sono le Unità speciali di continuità assistenziale che avevano il compito di raggiungere i malati di Covid nelle case. Da fine marzo a metà giugno hanno effettuato 1.920 interventi, in Val Seriana solo 207. «L’impressione è che Ats e Regione abbiano creduto poco in un progetto che invece doveva essere centrale», osserva Scandella.
La Bergamasca è stata il primo territorio in cui le Usca sono entrate in azione. Le Unità speciali di continuità assistenziali, al di là del nome ad alto tasso di burocratese, si annunciavano come la cavalleria in un territorio devastato dal coronavirus, quando vennero istituite dal decreto legge del 9 marzo. Si tratta di medici che raggiungono a domicilio i casi sospetti di Covid e li curano con procedure e protezioni molto rigorose. La legge aveva previsto un’Usca ogni 50 mila abitanti: Bergamo ne avrebbe dovute avere 22, in realtà ne sono state attivate solamente 6 e il progetto si è fermato lì.
È quello che si scopre dalla risposta dell’Ats di Bergamo a una domanda di accesso agli atti del consigliere regionale del Partito democratico Jacopo Scandella. In totale sono tre pagine che illustrano in modo molto sintetico la storia delle Usca in provincia. Istituite dal governo proprio nei giorni in cui il Paese entra in lockdown e la gravità della situazione sanitaria diventa evidente, vengono avviate e sperimentate proprio in Bergamasca, a partire dal 19 marzo. È un progetto pilota per necessità, nel senso che i troppi casi (specialmente in Val Seriana) rendono ingestibile l’emergenza a livello esclusivamente ospedaliero. Le nuove Unità devono rispondere all’esigenza di curare i malati a casa, anche perché molti medici di famiglia in quella fase non disponevano dei dispositivi per visitare in sicurezza. Quando partono, le Usca sul territorio provinciale sono cinque, nelle sedi di Bergamo, Zogno, Albino, Treviglio e Dalmine. L’obiettivo di arrivare a 22 non verrà mai neanche lontanamente avvicinato, visto che nei giorni successivi si aggiunge solo l’ulteriore sede di Grumello del Monte, per la fascia orientale della provincia.
I documenti, forniti dall’Ats e firmati dal direttore generale Massimo Giupponi, descrivono squadre da 2 medici per turno, dunque 12 operatori sanitari attivi sull’intero territorio, oggi ridotti «considerata la riduzione delle richieste di intervento». In totale, da fine marzo a metà giugno, sono stati 1.920 gli interventi delle Usca nelle case di malati bergamaschi. Un lavoro svolto in gran parte nelle prime settimane, le più critiche, se è vero che l’Ats stessa aveva fornito il dato di 1.035 interventi operati alla data del 15 aprile. Sorprendente rispetto alla mappa del contagio (e delle morti) la ripartizione territoriale degli interventi: 528 nell’area di Bergamo città, solamente 207 in Val Seriana dove però l’incidenza della malattia è stata più alta. L’altra zona meno pattugliata dalle Usca è quella di Grumello (200 visite), mentre 421 sono gli interventi contati nell’area di Dalmine, 274 in Val Brembana, 290 nella Bassa. «Il numero così basso di interventi in Val Seriana è sorprendente — dice Scandella — ma coincide con alcune informazioni che avevamo: secondo i racconti di altri medici, non erano molti i professionisti disponibili a operare in un territorio così colpito dal virus e così in difficoltà sul piano organizzativo. La media provinciale di una ventina di interventi al giorno in tre mesi, cioè tre interventi per ogni Usca, è troppo bassa rispetto alle aspettative. Si sarebbe dovuto fare di più, abbiamo avuto troppi malati rimasti soli, in alcuni casi a morire nelle proprie abitazioni, anche per la mancanza di medici».
Quello dell’assistenza domiciliare mirata a prevenire una nuova ondata di contagi e a curare tempestivamente i sospetti casi di Covid è una delle questioni su cui si stanno scontrando Ordine dei medici e sigle sindacali del settore con l’Ats. «L’impressione che si ricava da questi numeri — spiega Scandella — è che la Regione e l’Ats stessa abbiano creduto poco
❞ Regione e Ats hanno creduto poco in questo progetto. Ma ci sarebbe bisogno di svilupparlo per l’autunno Jacopo Scandella consigliere Pd
La proporzione Il decreto prevede un’Usca ogni 50 mila abitanti, numeri rimasti sulla carta
in un progetto che invece doveva essere centrale nel momento peggiore dell’epidemia e che sarebbe importante anche in prospettiva. Non possiamo permetterci, nella prossima stagione autunnale e invernale di avere malati con sintomi sospetti che vanno a riempire le sale d’attesa dei medici di base. Bisogna velocizzare il lavoro per arrivare pronti a quella fase».