Camerata Cornello Quelle zone rosse d’altri tempi
Patenti sanitarie e lettere disinfettate: la mostra al Museo del Tasso
Liste con indicate le località bandite perché a rischio contagio, patenti di sanità che consentivano la circolazione, quarantene e disinfezioni, ma anche tuniche fino ai piedi, cappelli e maschere con lunghi becchi per consentire ai medici di mantenere le giuste distanze e, grazie alla presenza di erbe e spezie al loro interno, allontanare i miasmi. Con qualche innovazione e miglioria, le norme e le strategie messe in atto per fronteggiare la minaccia del Covid-19 hanno delle analogie con quelle adottate nel passato. Lo si scopre visitando la mostra «Epidemie del passato. La disinfezione della posta», allestita fino a domenica 27 settembre nella sala Mercatorum del Museo dei Tasso e della storia postale a Camerata Cornello (da mercoledì a domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 18).
Un vero e proprio excursus (con un occhio di riguardo al tema caro al museo brembano e alla città di Venezia) dedicato alle emergenze sanitarie che, dal Cinquecento all’Ottocento, investirono l’Europa. E con un’ultima postilla sulle lettere con l’antrace che nel 2001 terrorizzarono l’America e il mondo intero. «In questo periodo difficile mi è sembrato interessante mostrare quali misure i governi adottavano nei secoli trascorsi, anche per evidenziare qualche similitudine», spiega il direttore Adriano Cattani, appassionato di storia e di comunicazione postale dall’età di 17 anni e collezionista. Sono di sua proprietà i circa sessanta documenti (alcuni originali, altri sono copie) dell’esposizione temporanea: libri, lettere, grida e decreti, certificati di buona salute che mostrano come, anche in un lontano passato, le epidemie, come i beni e le persone, viaggiavano da un capo all’altro del pianeta (o comunque nelle aree conosciute e accessibili).
«Venezia, porto di mare, era punto di arrivo e di partenza di molte navi e merci orientali, che poi venivano smistate nei mercati d’Europa — dice Cattani —. Col diffondersi della peste e poi del colera, la città non poteva permettersi di bloccare tutti i commerci, doveva contrastarle». Come? Fra il XVII e XVIII secolo predispose «una rigida difesa sanitaria, che spesso si traduceva in cordoni che cercavano di isolarla dai luoghi più colpiti». I controlli erano particolarmente rigidi via mare, ma non erano da meno quelli sulla superficie terrestre.
Ai confini (questo avveniva anche nel territorio che oggi corrisponde alla Bergamasca) erano presenti dei caselli sanitari con militari e medici, che controllavano chiunque entrasse. E se i marinai e i viaggiatori venivano messi in quarantena nei lazzaretti, in attesa di passar a miglior vita, di manifestare la malattia o di guarire, «le merci e la posta, che venivano considerati veicoli delle epidemie, dovevano passare allo spurgo, ovvero essere disinfettati». «I metodi variavano da luogo a luogo — prosegue —. La Serenissima adottò quello della disinfezione sulle carte, mediante vapori prodotti da erbe medicinali sottoposte al fuoco».
Funzionavano? «Nel caso della peste si credeva erroneamente che venisse trasmessa per via aerea. E comunque gli intrugli a base di erbe e spezie, con cui veniva curata, non erano efficaci», conclude. La tecnica, però, almeno manteneva i testi leggibili: «L’esposizione alle erbe non lasciava tracce come invece avveniva altrove, dove le missive venivano esposte al fuoco e ai vapori di zolfo, che le bruciacchiavano — conclude —. A Venezia le lettere venivano aperte per una migliore disinfezione sia esterna che interna, e la richiusura avveniva con un sigillo di ceralacca, a volte di carta, la cui presenza testimonia ancora oggi l’operazione».
Quando
«Epidemie del passato. La disinfezione della posta» sarà visitabile fino al 27 settembre Memoria Sessanta documenti in mostra tra libri, lettere, certificati di buona salute, grida e decreti