Quando la Giustizia va in cortocircuito
Allontanati per stalking condominiale, tornano a casa dopo la condanna. «Una beffa»
La procedura è stata rispettata: con la condanna definita, la misura cautelare viene meno. Ma in questo caso si tratta di marito e moglie condannati a 2,2 anni per stalking condominiale. Dal 2017 avevano il divieto di dimora, ora sono tornati nella palazzina dei fatti, a Vilminore. «Una beffa», dicono le parti civili. La ratio è che ora la pena verrà scontata. In questo caso è stato chiesto l’affidamento in prova.
Sono tornati a casa, come è loro diritto dopo tre anni di esilio. In questa storia giudiziaria non sono le vittime, ma i condannati per stalking di condominio in quello che dovrebbe essere uno dei posti più tranquilli. Vilmaggiore, frazione di Vilminore di Scalve con cento abitanti.
Possono per legge: con la sentenza definitiva, la misura cautelare del divieto di dimora è decaduta. Colpisce, se ci si mette nei panni della vicina di casa, parte civile con un’insegnante in pensione di Bergamo, che se li è visti rientrare proprio quando il cerchio della giustizia si è chiuso, sulla carta. Claudio Subacchi e la moglie Elena Miglioli, 59 anni, condannati a due anni e due mesi, senza pena sospesa, hanno chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali. Verrà fissata l’udienza, il giudice valuterà la loro condotta per decidere se concederlo, ma passerà del tempo. Intanto, le parti civili Francesca Morelli e l’insegnante non hanno ancora ricevuto il risarcimento di 25.000 e 15.000 euro disposto dal giudice di primo grado, ad aprile 2017, immediatamente esecutivo. Il loro avvocato Marcella Micheletti ha chiesto il pignoramento della casa, ma marito e moglie hanno proposto istanza di conversione, per pagare.
Cercato per due volte, il loro avvocato Vito Alberto Spampinato non è disponibile a commentare. Allora la difesa parlò di problemi di salute, di intolleranza ai minimi odori.
Morelli ha chiesto e ricevuto chiarimenti dal suo legale, dal sindaco, dai vigili, dai carabinieri. Al di là dei meccanismi giuridici, parla da donna con un mutuo da pagare e uno stipendio come operatrice socio sanitaria, e con una casa messa in vendita da cinque anni ma che nessuno vuole acquistare. Dice di sentirsi «come se non avessimo avuto giustizia. Per me è una beffa. Come se, nonostante questi anni di tribolazioni fino ad arrivare in tribunale, non fosse successo nulla. E lo dico a prescindere dal fatto
Le persecuzioni Aspirapolvere e lavatrice di notte, scarti di cibo sul balcone, telone sulla finestra
Il risarcimento Alle vittime vanno 35.000 e 15.000 euro, mai pagati: il legale ha pignorato l’abitazione
che non abbiamo ricevuto il risarcimento. Per altro, l’insegnante li avrebbe devoluti in beneficenza». L’insegnante evita di raggiungere quella che per lei è una casa di villeggiatura. Francesca Morelli, 43 anni, ci vive. Prima che il giudice allontanasse i vicini molesti aveva cercato ospitalità da amici e parenti. Lei e la figlia, allora di 23 anni.
All’epoca, il giudice di Bergamo Maria Luisa Mazzola nella sentenza aveva ripercorso gli episodi: aspirapolvere e lavatrice in funzione di notte, musica ad alto volume, sbattimento dei tappeti tutte le mattine dalle 6 alle 8, la candeggina sui vestiti stesi, minacce di morte, un telone che oscurava la finestra, sassi, fazzoletti e scarti di cibo che volavano sui balconi.
Aveva disposto l’obbligo di dimora ritenendola «l’unica misura adeguata in ragione del fatto che gli imputati pongono in essere le condotte delittuose proprio presso il proprio domicilio, atteso che terrà i medesimi lontani dall’abitazione in cui è legittimo che rientrino le persone offese». Era il primo grado, con la possibilità di impugnare la condanna. Non più, va scontata. Ora, però, è legittimo il rientro dei condannati.