La rivoluzione di Savonarola: «Un’eresia da rileggere oggi»
Da anni sforna volumi che per i profili e le vicende affrontate sembrano destinati non solo agli studenti. Pensiamo a «Le crociate dopo le crociate», del 2013, oppure a «Guerra santa contro i turchi»: lavori di storiografia narrativa accompagnati da scandagli metodologici affidati ad un altro libro, «La crociata nel Rinascimento», o ad approfondimenti interdisciplinari sfociati nel trittico, «Religione e umanesimo nel primo Rinascimento da Petrarca ad Alberti», «Umanesimo. Il lato incompiuto della modernità», e un terzo volume in arrivo sulla creatività all’alba dell’età moderna.
Marco Pellegrini, ordinario di storia moderna presso l’Università di Bergamo, socio dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti, oggi è fra i più accreditati esperti del Rinascimento italiano. E, ancora una volta, nel contesto di questo periodo ricostruisce la vicenda biografica di un protagonista: Savonarola (è il titolo del libro). Ovvero di un uomo che interpretò il bisogno di rigenerazione spirituale del suo tempo e — aiutato dal suo carisma — avviò un originale esperimento di «riforma popolare». «È così — afferma Pellegrini —. E nel caso della Firenze tardoquattrocentesca l’espressione riforma popolare calza doppiamente, in quanto indica nel popolo l’attore sociale che Savonarola considerava come il vero e santo depositario del bonum commune, il centro propulsore della “renovazione” universalmente attesa. Per sprigionare la propria carica trasformatrice, il popolo doveva essere affrancato dai condizionamenti che lo tenevano asservito a un meschino passato di servitù. La liberazione presupponeva un processo di decontaminazione dai vizi».
Qual è il ritratto di Savonarola più vicino alla verità? E per quali ragioni conobbe il rogo?
«La mia biografia si lascia alle spalle la questione della buona o cattiva fede nell’intraprendere la riforma dell’intera cristianità a partire da Firenze. Fu coerente con uno schema profetico allora circolante: prevedeva che in un momento di degrado, come quello toccato con il papato di Alessandro VI, il risollevamento sarebbe partito dall’ambito locale e avrebbe avuto un’irradiazione su scala mondiale. L’illuminazione di cui Savonarola si ritenne depositario lo portò a scatenare una rivoluzione, che descrisse come un nuovo Esodo. Così facendo si propose come nuovo Mosé: ruolo in concorrenza con il papa, che nel Rinascimento era esaltato come erede di Mosé oltre che di Cristo. Ne derivò la sua condanna per eresia e scisma, due imputazioni non fondate sul piano della dottrina ma dettate dalla necessità che il papa ebbe di eliminarlo: dunque surrettizie, per molti versi».
Questo predicatore ha avuto un rapporto singolare con Lorenzo de’ Medici.
«Savonarola dovette la sua chiamata a Firenze a Lorenzo il Magnifico, a sua volta sollecitato da Pico della Mirandola. La stima di Lorenzo rimase alta anche quando il frate si dimostrò un scomodo: mai disposto a figurare quale servo del potere, in pochi anni cominciò a denunciare in toni apocalittici l’ingiustizia su cui si fondava la Firenze del Rinascimento. Tuttavia, vicino alla morte Lorenzo, volle ricevere gli ultimi conforti proprio da Savonarola».
Si hanno notizie di passaggi di Savonarola a Brescia nel 1489. A Bergamo non venne mai?
«Savonarola fu un itinerante. Da Bergamo non risulta essere passato, ma non poteva ignorarne la rilevanza nella mappa domenicana nel Nord Italia, con la nostra città ai primi posti. Lo dimostra la fama che si guadagnò appunto fra Pietro da Bergamo: uno dei migliori intelletti teologici del tempo, docente di Savonarola a Bologna e autore di un manuale assai reputato fra l’Italia e l’Europa».
L’autore Marco Pellegrini insegna storia moderna e storia rinascimentale all’Università di Bergamo