Mastrovito e il film che si cancella
L’anteprima a New York. «Descrivo la distruzione di identità e memoria storica»
Un film che si cancella con il passare dei minuti non si era mai visto a oggi. Lo si vedrà, per la prima volta, alle 20 ore locali al Magazzino Italian Art di New York quando verrà proiettato, in anteprima mondiale e sotto forma di drive in, «I am not legend». Se nel primo lungometraggio di Andrea Mastrovito il protagonista era un vampiro, in questo, a farla da padroni, sono gli zombie.
Andrea Mastrovito, il film cosa tratta?
«È il sequel di Nysferatu, uscito tre anni fa. Si ispira a “La Notte dei morti viventi” di George A. Romero, ma ho riscritto la sceneggiatura e abbiamo creato 100 mila tavole, 20 mila ridipinte completamente a mano da me e da otto assistenti. Meglio, abbiamo cancellato progressivamente il film utilizzando della pittura bianca».
Il motivo di questa scelta? «Dopo il primo lungometraggio, considerando la fatiha ca che ha comportato il realizzarlo, quasi per scherzo ho pensato: “E se il prossimo lo cancellassimo”? Lo scherzo poi si è tradotto in realtà. La cancellazione ha ovviamente un significato, perché vuole descrivere la distruzione totale della nostra identità e della memoria storica».
Quanto ha influito lo scoppio della pandemia dovuta al coronavirus?
«Il progetto era antecedente. Quando abbiamo dovuto fare i conti pesantemente con il Covid-19, a marzo, il lavoro era pronto all’80%. Ma non nego che l’idea abbia in qualche modo preceduto la realtà dei fatti. Ad esempio, nel film di Romero i personaggi si ritrovano all’interno di una casa, mentre intorno scoppia il finimondo; e non mancano litigi e diverbi che a volte minano lo spirito di sopravvivenza. È un po’ quello che osservavo leggendo i diari on line o le chat su Whatsapp durante il coronavirus che, inoltre, a causa dell’alto numero di vittime, soprattutto di anziani, contribuito a mandare gran parte della memoria storica di Bergamo al macero».
E cosa comporta questa perdita?
«Senza memoria storica e, avendo a disposizione centinaia di fonti, a differenza dell’era pre internet e pre social, ci sono mille realtà possibili. Il negazionismo si è rafforzato. Sembra non esistere più una verità fattuale. Era un tema presente anche in Nysferatu con la precisa scelta di utilizzare il bianco e nero, mischiarli e ottenere così un’infinita scala di grigi. Esattamente come esiste un’infinita versione di uno stesso fatto».
Sembra una critica alla società.
«Non mi permetto di giudicare, ma semplicemente di descrivere quello che vedo attorno a me. Il film è come un ritratto del Moroni: l’artista bergamasco dipingeva quello che vedeva, compresi i difetti che, anzi, caratterizzavano il personaggio».
Ha parlato prima di riscrittura della sceneggiatura.
«I personaggi parlano solo attraverso citazioni. Non dicono nulla di originale: è la perdita della loro identità. Mi sono ispirato a film, musica e libri. Dallo Squalo a Rambo passando per i Rem. Le citazioni, che proliferano su Instagram
e Facebook, sono il maggiore esempio di copia e incolla».
Perdita di memoria storica, negazionismo, perdita di identità. Il quadro che descrive è fosco.
«Sì, ma in un prossimo futuro le cose potrebbero cambiare. In fondo è dal caos che nascono le cose più belle. Proprio per questo l’idea è di chiudere la trilogia cinematografica con il tema della speranza».
Perché la scelta della cinematografia?
«È un’arte che mi ha sempre affascinato e che si sposa bene con l’esigenza di narrare. La narrazione, secondo me, è fondamentale soprattutto oggi in un’arte contemporanea che spesso è difficile da digerire proprio perché fatica a raccontare. Inoltre l’arte è sempre stata narrazione: i primi film della storia li ha girati Giotto con i suoi splendidi affreschi».