I ristoratori alle prese con il metro e i posti da riempire: senza dehors sarà ancora peggio
«Distanze ai tavoli, non in volo: penalizzati»
Sarà pur vero, come afferma in premessa Roby Amaddeo dello storico Mimmo di Città Alta, che è «più facile gestire un ristorante che un treno», ma parlando della «deregulation» delle distanze, gli operatori osservano come, se da un lato si può viaggiare gomito a gomito su treni e aerei, davanti a un piatto di spaghetti si debba tenere un metro di distanza.
«È una situazione paradossale — osserva Gigi Pesenti del Gigianca — ne prendo atto, ma nello stesso tempo non ne faccio un dramma. Non è una questione di posti ridotti per il distanziamento, ma di numeri che non si riescono più a fare. Io qualche coperto ce l’ho rimesso, ma sarei feliun cissimo se riuscissi a riempire i tavoli che mi sono rimasti. Cosa che, purtroppo, non riesco a fare patendo anche il fatto di non avere un dehors esterno. Detto questo, è tutta la categoria che è variamente penalizzata anche se l’attenzione e il rispetto delle regole, che è più difficile nei bar, nei ristoranti viene osservata con un certo scrupolo».
Guarda con preoccupazione all’autunno Nicola Zanini dell’Enoteca Zanini, in Borgo Santa Caterina: «Il lavoro è ripartito ma con la fine della bella stagione e la chiusura dell’esterno mi chiedo come potremo fare. Se è vero che un aereo ha sistemi di areazione particolari, non vedo quale sia la differenza ambientale tra ristorante e un treno. Andrà a finire che dovremo rifiutare il lavoro».
«Il rispetto delle regole, anche muovendosi nell’alveo di una privacy che ci impone di chiedere il grado di parentela e la convivenza famigliare — osserva ancora Amaddeo, che stima il calo d’affari del 50% anno su anno a giugno e del 35% sul mese di luglio — viene visto come un elemento di qualità professionale a tutela del cliente».
Clientela che, secondo il parere di Massimo Bosio, titolare di diversi locali tra cui il ristorante Pizza Leggera di Calusco d’Adda, vive ancora dopo mesi un certo disorientamento. «Ancora oggi — afferma Bosio — mi telefonano delle persone chiedendomi se possono venire al ristorante. Una confusione dovuta ad una marea di prescrizioni così che la gente non sa come muoversi. Ritengo, però, che al ristorante non si corra alcun tipo di rischio, fermo restando che ci si deve rimettere all’intelligenza delle persone. Anche perché noi ristoratori non possiamo svolgere il ruolo di guardiani dei clienti e può rivelarsi sconveniente andare a chiedere quale sia il tipo di rapporto che lega le persone che siedono allo stesso tavolo».
Chiude la carrellata la Giuliana, ferma da marzo e prossima alla riapertura a settembre. «È tutto un controsenso, la gente fa quello che vuole e sinceramente, con la conformazione del mio locale e i lunghi buffet, mi chiedo cosa riuscirò a fare». Più in generale la categoria guarda con parecchia preoccupazione all’autunno, il periodo in cui finirà la stagione della cena all’aperto. Gli effetti, anche economici, del coronavirus, sono ancora da valutare.
Il calo della clientela Mimmo meno 50% a giugno rispetto a un anno fa, Gigianca senza posto esterno fatica a riempire i tavoli