RIFORMA CARCERI? INIZIAMO DAL BASSO
Fiction e film hanno abituato il pubblico a considerare le carceri come luoghi da grandi emozioni, grandi tragedie, grandi personaggi. Chi le frequenta per lavoro o volontariato conosce una situazione molto diversa. Un esempio? Mi capitò nel carcere di Torino. Il direttore aprì una porta e dietro c’era una stanza piena di rotoli di carta igienica, fino al soffitto. Lui mi spiegò che era una partita di merce fallata, ma usabile, recuperata gratis, e che questo era ciò di cui si occupava il più delle volte: far marciare la quotidianità di un microcosmo nei suoi aspetti più quotidiani e triviali. Mi è venuto in mente questo episodio nel leggere le risultanze dell’inchiesta contro Antonino Porcino, exdirettore di via Gleno. Anche lui, sostengono gli inquirenti, viveva di questo piccolo cabotaggio, provocato dal disinteresse sdegnoso con cui le carceri italiane sono percepite da politici e opinione pubblica. Diversamente dal collega di Torino, però, pro domo sua - letteralmente. Si era costruito, per l’accusa, un piccolo feudo, una rete di scambi di favori, di tangenti minime, di furbizie d’accatto. In questo malinconico quadretto rifulge l’appropriazione indebita di due WC nuovi (con tubature annesse) destinati all’istituto e invece dirottati nella casa della moglie. Ecco, quando si parla di riforma del carcere è inutile usare parole alate; basterebbe inquadrare il problema dalla prospettiva dei cessi.