Troppo caro, e Bellini diventò Donizetti
La vita segreta di oltre duemila monumenti italiani raccontata nel libro dei Villa
Quindici anni di lavoro per oltre duemila monumenti raccontati piazza dopo piazza. Aneddoto dopo aneddoto. Giovanni Carlo Federico Villa, docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Bergamo, e il padre Renzo firmano il volume «Monumenti d’Italia». Tra le opere, la statua a Donizetti. Realizzata in onore di Vincenzo Bellini a Catania, fu disdetta per i costi esagerati e «riciclata» a Bergamo con il volto modificato.
Imonumenti sono presenze dalla nitida vocazione comunitaria, dove la Storia va precisamente a intrecciarsi con l’arte e la pedagogia nazionale. Icone silenti, «luoghi» di rado ammirati e spesso inosservati, assurgono talvolta agli onori della cronaca quando le contingenze sociali ne fanno simbolo cruciale, da celebrare fastosamente oppure — come accaduto di recente negli Stati Uniti e per altre ragioni a Milano — da violare con gesto iconoclasta. Distribuiti in strade, piazze e parchi, compongono il più grande e accessibile museo italiano, uno straordinario patrimonio mai premiato da un organico censimento.
Giovanni Carlo Federico Villa, docente di Storia dell’arte moderna all’università di Bergamo, si applica da una vita a indagarne le più valevoli implicazioni. È una dedizione certo condivisa con il padre Renzo, storico delle Scienze mediche, giacché insieme firmano il volume di imminente pubblicazione «Monumenti d’Italia»: frutto di 15 anni di lavoro, seleziona e descrive duemila fra i più significativi esempi nazionali. Un’opera importante e necessaria, presentata su La Lettura. Ordinando «ciò che da sempre facevamo per semplice curiosità», i due studiosi danno forma, regione per regione, a un reportage puntuale nel segnalare valenze simboliche, pregi artistici, aneddoti, rimandi storici. Un originale viaggio in Italia che Villa sta illustrando su Rai Radio 3 nel programma «Statue in piazza. Il nostro paesaggio monumentale», in onda alle 13 del sabato sino al 12 settembre. Nella puntata del 25 luglio (riascoltabile su RaiPlay Radio) è stata trasmessa la tappa dedicata a Bergamo.
Ecco, ad avviare un excursus cittadino davvero suggestivo, l’emozionante drammaticità del Monumento al Partigiano di Giacomo Manzù, nel giardino dietro i propilei di Porta Nuova: una parete in bronzo, il corpo inanime di un giovane «appeso immobile», una donna protesa nel compianto. Villa ricorda le vivaci controversie, risolte infine il 25 aprile 1977 con l’inaugurazione dell’opera, a sancire altresì la «pace» fra la città e l’artista dopo anni di reciproche incomprensioni: «Invitato nel 1974 a Bergamo per ricevere una targa d’oro, [Manzù] ricambiò presentando il bozzetto del monumento che voleva donare alla città per il 30° anniversario della Resistenza. Immediati furono però i veti politici e violente le polemiche per un’iconografia ritenuta troppo cruenta, eccessivamente “sentimentale” e per alcuni anche poco “resistenziale”».
Il viaggio prosegue. In una città che si vuole connotare capitale del Risorgimento dei Mille garibaldini, è doveroso l’omaggio a Vittorio Emanuele II, fissato nel 1884 in realistico marmo, a ideale presidio del municipio, da Luigi Pagani e Francesco Barzaghi sulla scorta dei cospicui fondi raccolti con petizione popolare dal «Casino degli operai e degli artisti». A Garibaldi l’anno seguente viene dedicata l’opera di Alberto e Cesare Maironi da Ponte, originariamente disposta in Piazza Vecchia. Reo di ostentare sconveniente laicità ed eccessivi ingombri — l’Eroe dei Due Mondi fuso nel bronzo appoggia su un basamento in granito rosa con agli angoli quattro leoni — il monumento è motivo di veementi diatribe fomentate soprattutto dal mondo cattolico. E così «tanto si fece — riferisce Villa — che nel 1921 i leoni furono immagazzinati prima di esser fusi per scopi bellici e Garibaldi rimosso e posizionato in città bassa, a un paio di isolati dal Sentierone, a far da rondò alla Rotonda dei Mille».
Diversa eppure similmente travagliata si rivela la vicenda della composizione scultorea di Francesco Jerace adiacente al teatro cittadino, dedicata nel 1897 a Gaetano Donizetti per il centenario della nascita: «A sinistra, seduto, è un assorto Donizetti, intento a trascrivere sui fogli che tiene sulle ginocchia le note che con sguardo rapito cerca di trarre dalle melodie ispiratrici della musa Melopea, ritta sulla parte opposta della gradinata e intenta nel suono della cetra». L’opera in verità nasce per Catania, commissionata allo scultore calabrese in onore di Vincenzo Bellini, disdetta per i costi esosi e destinata quindi a Bergamo modificando il volto di Bellini in quello di Donizetti.
A esaltare la patriottica epopea ottocentesca, anche inscritta alle spalle dei propilei nei due busti di Francesco Nullo e Francesco Cucchi, contribuisce nel 1913 la scultura in stile liberty di Leonardo Bistolfi dedicata a Camillo Benso di Cavour, in piazza Matteotti. La giovane nazione cui concorre il grande diplomatico, qui ritratto in un medaglione, è simboleggiata da una fanciulla «eterea negli aerei veli». Poco lontano, il monumento ai fratelli Calvi della Valle Brembana, eroi della Grande Guerra, porta i segni di una singolare censura: «A quattro giorni dalla inaugurazione, nel 1933, le autorità cittadine corsero a coprire con foglie di fico le pudenda maschili in quanto considerate “indecenti e offensive della morale”».
Villa non manca di sottolineare quanto il patrimonio di monumenti dichiari — nelle presenze e paradossalmente nelle assenze — i mutevoli valori che inducono a perpetuare la memoria di persone ed eventi. È icastico in proposito il Monumento ai caduti fascisti, opera che «tragicamente occupava e raccordava, a mo’ di stele funeraria, lo spazio tra il monumento a Vittorio Emanuele e quello a Cavour», cancellata nel 1945 e idealmente sostituita sul Sentierone dall’omaggio ai decorati al valor civile. L’inedito itinerario vaglia poi altri esempi novecenteschi per arrivare al Monumento all’Alpino, in prossimità della stazione, voluto nel 1962 dalle penne nere a ricordo del «tributo di sangue della nostra gente». Quello bergamasco, chiosa Villa, è un percorso monumentale «perfettamente in linea con gli svolgimenti nazionali, inscindibile dalla sua funzione celebrativa e che rispecchia bene l’esser figlio di accesi confronti nei consigli comunali, nei giornali e tra le forze politiche, così che ogni statua giunta a noi è la superstite di una complessa e spesso pluridecennale lotta per la vita».