Crisi post Covid, pagano i giovani
Il crollo degli avviamenti e le previsioni da profondo rosso. I dati del 2019 sono un miraggio
Il tributo più alto nel post-epidemia lo potrebbero pagare i più giovani. Nel secondo trimestre il saldo negativo tra assunzioni e cessazioni riguarda soprattutto la fascia tra i 15 e 29 anni. «Moltissimi ragazzi di questo range temporale sono tornati ad abitare con i propri genitori. E non possiamo pensare ancora di poter ricorrere a bonus di varia natura», le parole di Orazio Amboni della Cgil.
«Adesso è un altro mondo. E i dati Istat ce li ricorderemo come un Eldorado dell’occupazione, anche di quella giovanile, che rimpiangeremo». Non ha dubbi Orazio Amboni, sindacalista di lungo corso e responsabile dell’ufficio studi della Cgil di Bergamo, nell’inquadrare il presente e il futuro prossimo di un mercato del lavoro bergamasco in avvicinamento ad un autunno difficilissimo, come annunciato anche dai rappresentanti del commercio e dell’industria. Vale per tutti, ma soprattutto per la componente giovanile, che si teme possa pagare alla crisi un tributo molto alto alla fase post-epidemia (che è comunque un problema non ancora risolto).
Le statistiche
Per rendersene conto è sufficiente anche solo riferirsi all’ultimo report realizzato dalla Provincia di Bergamo, relativo al primo impatto del Covid-19 sul lavoro dipendente, aggiornato al maggio scorso. Nello specifico per i contratti di apprendistato e a tempo determinato, che penalizzano per definizione la componente giovanile, si è registrato un brusco stop delle assunzioni: al di sotto dei 30 anni il calo tendenziale evidenziato nel trimestre marzo-aprile- maggio 2020 è stato del 54,2%. Il saldo tra avviamenti e cessazioni di rapporti di lavoro è negativo in tutte le classi di età ma si rivela particolarmente ampio tra i 15-29 anni (-2.347 unità) con un’incidenza (36%) pari a quasi il doppio della corrispondente quota (18,4%) sullo stock dei dipendenti al 2018.
«L’Eldorado»
I numeri sono allarmanti e confinano l’Eldorado occupazionale richiamato in premessa da Amboni in una cornice complessiva che, malgrado alcuni lievi segni di flessione dell’ultimo periodo del 2019, a causa di diverse tensioni internazionali, si poteva ritenere confortante. Appunto l’anno scorso, chiuso quando l’allarme coronavirus sembrava, nelle illusioni di molti, destinato a restare relegato in Cina.
L’anno scorso
Nel 2019 le persone occupate o attivamente in cerca di lavoro (forze lavoro) in provincia di Bergamo erano pari a 501,5 mila, in calo rispetto all’anno precedente a causa soprattutto dell’aumento degli inattivi, cresciuti da 222 mila e a 224 mila unità. Gli occupati erano, invece cresciuti, raggiungendo le 484 mila unità e un tasso di occupazione del 66,3% tra la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni di età. A seguito del calo delle persone in cerca di occupazione il tasso di disoccupazione era sceso al 3,5% (il 2,8% per gli uomini e il 4,7% per le donne), un valore poco più alto di quello rilevato nell’anno precrisi — il 2008 — e inferiore ai tassi di Italia e Lombardia. Allo stesso tempo, nel 2019 era diminuita anche la disoccupazione giovanile, pari al 13,5% se si considerano i giovani attivi tra 15 e 24 anni (contro il trend regionale fisso al 18,27% e nazionale al 29,16%) e pari al 7,3% per i giovani attivi da 18 a 29 anni. La migliore rilevazione dell’ultimo quinquennio: il tasso di disoccupazione per la prima fascia d’età infatti, aveva registrato una discesa dal 30,6% del 2015, proseguita poi nel 2016 al 25%, 14,1 % nel 2017 e 16,2% nel 2018. Per quanto invece riguarda i giovani dai 18 ai 29 anni si era passati dal 13,7% del 2015 al 14,15 dell’anno successivo, poi 9,7% nel 2017 ed infine 12% nel 2018.
Le fasce d’età
Quanto al 2020, non sono ancora disponibili dati provinciali aggiornati (saranno pubblicati probabilmente a settembre). L’impatto dell’emergenza deve ancora assestarsi, per essere letto e capito fino in fondo. Ma, al di là dei numeri che già a livello europeo segnano un tasso di disoccupazione giovanile in aumento al 27,9%, questo periodo traccerà con l’emergenza Covid-19 anche il cambio di un altro paradigma, di carattere sociale e non solo economico. «Queste fasce d’età non hanno più senso e andrebbero allungate almeno fino ai 32-33 anni — evidenzia ancora Orazio Amboni —. Moltissimi in questo range temporale giovanile sono ritornati ad abitare con i loro genitori, per non parlare delle coppie conviventi o sposate che scoppiano. Anche in questo caso entra in gioco il cosiddetto welfare famigliare, ossia i genitori che mettono a disposizione dei figli il loro patrimonio immobiliare, soprattutto a favore dei figli maschi che abbandonano la casa di residenza, dove hanno vissuto finché la coppia ha tenuto. È un aspetto sociale che ricade significativamente anche nel mondo del lavoro e che a sua volta innesca un circolo vizioso in tutto il sistema economico. L’impossibilità di produrre un reddito o uno stipendio ridotto, o un lavoro precario, non favoriscono la capacità di spesa. E non passiamo pensare ancora di poter continuare a ricorrere a bonus di varia natura».
«Fare di più»
Nei giorni scorsi sono risuonate come un monito le parole dell’ex governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi, al Meeting di Rimini. «Ai giovani — ha rimarcato Draghi — bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri».
«La formazione — conclude Amboni — resta un elemento portante. Detto questo, sul fronte occupazionale alcuni spiragli sono aperti, dalla scuola al settore industriale che necessita di tecnici ad assunzione immediata, dalle tecnologie ambientali agli ambiti dell’agricoltura e dell’edilizia».
Il sindacato «La formazione resta un elemento portante, restano spiragli aperti nel settore industriale»