Morto Bonfanti, socialista sempre
La notifica all’avvocato d’ufficio non basta: libero dopo 78 giorni
Politico, ex dirigente della Cgil e esponente del Psi: Claudio Bonfanti è morto ieri, dopo una forte depressione trascinata per anni. Il 73enne, dal 1985, aveva ricoperto la carica di Assessore regionale, prima ai Trasporti e poi all’Ambiente.
La sorpresa dev’essere stata simile per intensità, ma opposta per esito. Il 9 maggio i carabinieri suonano alla porta della nonna con un ordine di esecuzione: con la condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi, il nipote va dritto in carcere per una rapina sul treno di tre anni prima. Ma il 22 luglio, una sentenza annulla la precedente e lo scarcera (dopo 78 giorni di cella, 4 dopo la decisione dei giudici).
Non c’è stato un errore sull’identità di S.B., 22 anni, di Bergamo. Il ribaltone è legato alla giurisprudenza, diventata più garantista. Sembra solo una questione di notifiche, in realtà si tratta del diritto (rafUn forzato) di sapere che si è processati. Così dicono le sezioni unite della Cassazione, il vangelo del diritto: «La sola elezione di domicilio nello studio del difensore d’ufficio non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza, dovendo il giudice in ogni caso verificare che vi sia stata una effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia a conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso». Ora il processo va rifatto daccapo.
passo indietro, sui fatti. Il 27 aprile 2017 il giovane e un amico vengono fermati alla stazione centrale di Milano. Uno studente ha denunciato di essere stato aggredito sul treno: gli hanno preso lo zainetto, strappato i fogli con gli appunti, e rotto il naso. S.B. e il complice vengono denunciati per lesioni, l’accusa diventerà poi rapina. Gli viene chiesto di eleggere domicilio, ma lui non ne sa indicare uno. Gli viene nominato un avvocato d’ufficio, gli vengono forniti indirizzo e numero di telefono, e gli viene detto che se non nominerà un legale di fiducia sarà quello d’ufficio a ricevere le comunicazioni del procedimento. Il punto cruciale è questo. Secondo una parte della giurisprudenza, l’indagato a quel punto ha l’onere di tenersi informato. Ma la Cassazione, nel 2019, hanno superato questa linea. Da qui il ricorso dell’avvocato Cristina Pizzoccaro, di fiducia e diverso dal primo, che chiese la rescissione della sentenza del tribunale di Milano del 18 novembre 2019 diventata definitiva la vigilia di Natale. Sostiene che il suo assistito non abbia saputo più nulla e non abbia avuto la possibilità di partecipare al processo. Il tribunale d’appello le dà ragione: non c’è traccia di comunicazioni tra l’imputato e l’avvocato d’ufficio, nè istanze da parte di quest’ultimo: «Deve concludersi l’inesistenza dei presupposti per la dichiarazione di assenza».
Quello dell’assenza è un nodo. Se l’imputato non si trova va cercato una volta all’anno, per sette anni. Nel frattempo il processo viene sospeso.
Sul treno Il ventunenne era stato denunciato per aver aggredito un ragazzo sulla linea per Milano