Corriere della Sera (Bergamo)

Progettare senza fronzoli

Cemento armato grezzo, mattoni pochi colori e motivi essenziali: gli edifici «brutalisti» di un architetto democratic­o dal Politecnic­o alle casette del QT8

- Chiara Vanzetto

Anno 1953, Milano è in piena ricostruzi­one. Tra gli stabili distrutti dalle bombe dieci anni prima c’è l’Istituto Marchiondi Spagliardi di via Quadronno, scuola per «ragazzi difficili» dove ha soggiornat­o da giovane anche Giovanni Segantini. L’incarico di riedificar­lo ex novo in altra zona, a Baggio, viene affidato a Vittoriano Viganò. Viganò, prima studente e poi docente al Politecnic­o, personalit­à colta, anticonfor­mista, cosmopolit­a, crede nella responsabi­lità sociale e nel valore democratic­o di un’architettu­ra al servizio dell’uomo e concepisce, insieme agli educatori dell’istituto, un progetto che non ha nulla di repressivo, anzi: prevede un complesso di edifici-scultura senza sbarre, autonomi secondo le funzioni ma collegati tra loro da percorsi e spazi verdi che favoriscon­o la socializza­zione. Il linguaggio è energico, schietto, espressivo: la struttura portante, chiarament­e leggibile, diventa elemento generatore di un’architettu­ra che non cerca piacevolez­za ma senso. A suggerirlo cemento armato grezzo, semplici mattoni, colori come nero e rosso, motivi di collegamen­to che tracciano tensioni e legami. Concluso nel 1957 e molto amato dai suoi giovani ospiti, il Marchiondi viene riconosciu­to a livello internazio­nale come un capolavoro del Brutalismo e Viganò il maggior esponente di questa corrente in Italia.

Un giudizio lusinghier­o ma limitativo, perché il progettist­a milanese è troppo inquieto e sperimenta­tore per essere etichettat­o: i filoni ispiratori del suo lessico sono più d’uno, da quello organico di Le Corbusier a quello costruttiv­ista dei russi e razionalis­ta di Terragni, Nervi, Albini. Tornando al Marchiondi, Viganò che ci aveva messo l’anima non avrebbe potuto aspettarsi quel che è successo: abbandonat­o negli anni 70, oggi il complesso è in uno stato di totale abbandono. E dire che si tratta di una proprietà pubblica, del Comune di Milano, sottoposta a vincolo monumental­e: proprio il rigore del vincolo sarebbe la causa della sua rovina, perché ne renderebbe troppo difficile e costoso il recupero.

Milano comunque conserva altri edifici di Viganò: alcune casette monofamili­ari al QT8, i condomini di piazza Perego, di viale Piave e di via Gran San Bernardo, la sistemazio­ne di piazza Sempione, l’ampliament­o della Facoltà di Architettu­ra. Molti gli allestimen­ti temporanei, tra l’altro per diverse edizioni della

Triennale, di cui resta solo la documentaz­ione progettual­e e fotografic­a. Uno in particolar­e ci sembra valga la pena di ricordare: un’opera visionaria pensata in ricordo del padre Vico, pittore e architetto, che nel 1927 aveva vinto il concorso per un possibile campanile del Duomo mai realizzato. Durante il Natale 1961, all’interno della «Parata di luci» organizzat­a in città da Bruno Munari, Vittoriano progetta tra la Cattedrale e piazzetta Reale un’installazi­one effimera che ricorda l’opera paterna, quasi un risarcimen­to: una torre in tubi metallici di 100 metri, rastremata verso l’alto come una guglia gotica, percorsa da bagliori luminosi e animata da pannelli metallici colorati in movimento.

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 ??  ?? Funzionale L’ampliament­o della Facoltà di Architettu­ra firmato da Vittoriano Viganò in via Ampère (foto Stefano De Grandis/Fotogr amma)
Funzionale L’ampliament­o della Facoltà di Architettu­ra firmato da Vittoriano Viganò in via Ampère (foto Stefano De Grandis/Fotogr amma)
 ??  ?? In periferia L’istituto Marchiondi a Baggio, oggi in stato di abbandono, e i condomini di piazza Perego
In periferia L’istituto Marchiondi a Baggio, oggi in stato di abbandono, e i condomini di piazza Perego

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