Se la chiamata all’elisoccorso è per farsi un volo gratis
Da inizio anno 161 interventi solo in alta quota Dai poco attrezzati a chi vuole farsi un volo gratis
È capitato anche questo, che la chiamata di aiuto si rivelasse un pretesto per farsi un giro gratis in elicottero. Dalla base che sta accanto all’ospedale Papa Giovanni XXIII decolla l’eliambulanza che quasi ogni giorno sfreccia nei cieli della provincia. L’equipaggio è composto, oltre che da pilota e tecnico, da medici rianimatori, infermieri e uomini del soccorso alpino. Da inizio anno a fine luglio, gli interventi diretti sulle Orobie sono stati 161, con ancora tanta imprudenza da parte degli escursionisti. Il costo medio di una missione è di 4.600 euro, poche le multe legate alla legge regionale del 2015.
Codice verde, Valbondione, una spalla lussata e un intervento che si conclude in poco tempo. L’elicottero atterra alla base. Medico, tecnico, infermiera scendono col sorriso. Spente le eliche, il pilota spinge dalla coda verso il garage. Come fosse un giocattolone. E invece là sopra, sull’eliambulanza gialla che ormai chiunque riconosce nei cieli della provincia, si gioca il destino di migliaia di persone, tra soccorsi sperduti ed emergenze estreme. Lieti fine e tragedie. Oppure tragici lieti fine, un modo di dire per quelle missioni che rivelano con quanta leggerezza ancora ci si approcci alla montagna.
Stefano Alberti è il medico di turno in volo. Prima della spalla lussata, sulla Grigna si era preso cura di un settantenne caduto in un camino di roccia, un volo di 10 metri finito miracolosamente con un salvataggio. L’aneddotica non gli manca: «Da chi va in espadrillas sui sentieri ai recidivi che chiamano solo per farsi il giro in elicottero». È capitato a Carona. Portato in salvo una prima volta, visto il successo social riscosso da foto e video della disavventura, il furbo di turno ha pensato bene di ripetere l’esperienza. Ammissioni non ce ne sono state, ma quando raggiungi la vetta e vedi che la preoccupazione del «ferito» è filmare l’atterraggio, è difficile farsi idee diverse. Dolo, in realtà, non c’è quasi mai, è l’imprudenza il tasto su cui insistono i medici della base di Bergamo, 7 anestesisti e rianimatori del Papa
Giovanni assegnati al servizio insieme a 11 infermieri. Ogni equipaggio è composto poi da pilota, tecnico dell’elisoccorso e un uomo del soccorso alpino per i recuperi in alta quota. Sono stati 161 da inizio anno a fine luglio, 115 in punti facili da raggiungere e 46 in luoghi impervi. Nel 2019 erano stati in tutto 237, 201 cinque anni fa. Non ci si discosta di molto, anche se quest’anno va tenuto conto del periodo di lockdown con le uscite quasi a zero. Se invece si calcolano anche incidenti stradali, infortuni sul lavoro e altri tipi di intervento, si passa da un totale di 737 nel 2015 agli 895 del 2019. A livello regionale, da 3.700 a 5.800, con un aumento esponenziale dei voli in notturna, coperti dagli elicotteri di Como e Brescia, gli unici attrezzati e ormai in grado di atterrare ovunque: da 189 missioni del 2015 a 845 nel 2019 (anche questo dato è su tutta la Lombardia).
L’altro numero che colpisce è il costo medio di una missione: 4.600 euro. Moltiplicato anche solo per le 161 spedizioni in montagna di questi primi sette mesi fa 740.600 euro, e poco aiuta il ticket della famosa legge regionale del 2015, istituita proprio per disincentivare gli imprudenti: un po’ perché il contributo richiesto copre in minima parte le spese (per chi risiede in Lombardia il massimo è 750 euro) e un po’ perché di multe se ne fanno poche. «Noi — spiega Fabio Martorana, da 15 anni medico della squadra — mandiamo le segnalazioni, che però vanno fatte solo per chi non riceve assistenza sanitaria. E succede raramente. La nostra politica è quella di prestare sempre assistenza, meglio un controllo in più che in meno». La ragazza in pantaloncini salvata in un crepaccio di ghiaccio sul massiccio del Monte Rosa fa notizia. Ma poi scopri che l’escursionista poco attrezzato è un classico anche sulle Orobie. «Ci capita spesso — prosegue Martorana — di imbatterci in persone che raggiungono zone dove ancora c’è neve in maglietta e pantaloncini, oppure in ultrasettantenni pluripatologici che fanno la camminata, si fermano in rifugio, pranzano magari con stinco e polenta e poi stanno poco bene. Deve passare il messaggio che alla montagna bisogna avvicinarsi con rispetto e cautela, anche quando la si conosce». Martorana scorre le tabelle. Se si guarda alle spalle, il primo ricordo corre al 2012, all’eliambulanza precipitata a Morbegno con i suoi colleghi a bordo. Lui era appena sceso, si salvarono tutti. Oppure a quella ragazza gravissima recuperata col verricello su un ghiaione e poi intubata in un prato. O al ciclista ucciso da un fulmine a Gandino. «Per noi ciascun numero corrisponde a un intervento di cui sentiamo tutto il peso, perché anche nella missione più banale c’è una componente di rischio», sottolinea.
Una volta ricevuta l’attivazione dalla base Areu, a pianoterra della palazzina che sta accanto all’ospedale, l’elicottero in 4, 5 minuti è in volo. «È fondamentale il lavoro d’équipe e per questo cerchiamo di mantenere gli stessi equipaggi nel tempo: se ti conosci, ti capisci con poco», spiega il medico. Il meteo, le ore di luce. Le condizioni del paziente. I passaggi a terra, spesso più da alpinisti che sanitari. «Finché sei sulla macchina comanda il pilota, sull’impervio tocca al Soccorso alpino, io decido sul paziente. Poi ci sono i momenti di condivisione. È un collage di professionalità, in cui ognuno deve rispettare il ruolo dell’altro».
Legge mai decollata Poche multe e cifre irrisorie rispetto al costo medio di una missione: 4.600 euro