Inizia l’era di Coach Cagnardi a Treviglio
Segni particolari: specializzato in raccogliere eredità pesanti. Sul curriculum di Devis Cagnardi c’è una caratteristica che in pochi possono vantare. La sua carriera da capo allenatore lo ha sempre posto di fronte alla sfida di dover prendere il testimone alla fine di un ciclo duraturo. Quando era vice a Reggio Emilia prese il posto di Menetti che era sulla panchina da 8 anni, nel 2019 sbarcò ad Agrigento dopo 8 anni di era Ciani e ora a Treviglio va a sostituire Vertemati che era in sella dal 2011. «Per me è un onore, significa che c’è tanta fiducia iniziale in me — spiega il coach 44enne nel giorno del raduno —. Dopo un lungo regno, immagino che ci sia maggior attenzione nello scegliere il sostituto».
Lei è nato a Lovere ma è cresciuto e vissuto tanti anni a Pisogne. Si sente bergamasco o bresciano?
«Sono camuno, ci tengo a precisarlo. Appartengo a una terra di confine. Anche se mi ritengo un cittadino del mondo, di sicuro mi fa piacere riavvicinarmi. Sono uscito di casa a 14 anni, ho sempre avuto poche possibilità di vedere i miei genitori e i miei fratelli. Ora abito a Treviglio, ma in un’ora posso andare a trovare mia madre. In realtà però io vivo il basket in maniera totalizzante, non tornerò molto spesso».
È complesso iniziare a lavorare su una squadra che ha costruito un altro allenatore?
«È una sfida stimolante. Su un paio di giocatori ho avuto la possibilità di decidere, ma comunque ho sposato le scelte di Vertemati. Mi sembra che tutti gli elementi si possano inserire nel mio sistema di gioco e credo che non si debba essere troppo rigidi».
Quindi avrebbe potuto costruirla lei così anche se fosse
❞ La morte di mia moglie è stato un trauma, il lavoro mi lega a lei Devis Cagnardi allenatore
arrivato prima?
«Sì, abbiamo un playmaker veloce, bravo ad attaccare il ferro come Frazier, con attorno ottimi tiratori. Nikolic è un giocatore di sistema che è propenso al gioco di squadra. Avere un italiano come Borra in un ruolo così importante è un grandissimo vantaggio».
Ci sono solo 5 senior, la panchina è giovanissima. Anche questa scelta la convince?
«Ci prendiamo un rischio calcolato, è una scommessa. Questa filosofia mi piace. Anche perché qui si dà tempo ai giovani di migliorare».
C’è stato un passaggio di consegne con Vertemati?
«Chiamo sempre il mio predecessore. Mi sembrava stupido non chiedergli qualche consiglio. Mi ha detto che arrivo in una società che mi permetterà di mettere in campo le mie idee e che non fa mai mancare la fiducia, anche nei momenti di difficoltà. Questi sono aspetti fondamentali».
In che modo si definirebbe come uomo e come allenatore?
«Sono molto riservato e semplice, ho dedicato tutta la mia vita alla pallacanestro, porto sempre il lavoro anche a casa, fino a tarda ora. Non c’è una grande diversità tra l’uomo e l’allenatore. È una cosa sola, mi sento sempre me stesso. Secondo me, la cosa più difficile e sbagliata che si può fare è crearsi degli atteggiamenti che non rispecchiano la propria personalità. Un difetto? A volte sono un po’ possessivo».
Quante partite guarda a settimana?
«Non so precisare un numero. Dopo la perdita di mia moglie è aumentato, direi che ogni sera dopo cena guardo partite per 3 o 4 ore. La morte di Donatella nel 2019 è stata un’esperienza traumatica che mi ha cambiato».
Dove ha trovato la forza per ripartire?
«Abbiamo fatto tanti sacrifici insieme per fare in modo che il basket diventasse stabilmente la mia professione. Ora la mia forza sono i figli, Mirco e Stefania, 26 e 30 anni. Sono grandi, io adesso sono solo, quindi ho spostato ancora di più il mio focus sul lavoro e la mia motivazione è ancora più alta. Dedicarmi solo al lavoro mi fa stare bene e in qualche maniera mi tiene collegato anche a lei».