A CHE SERVE LA POLITICA
La vicenda Sematic, 300 posti di lavoro a rischio e una storia aziendale che se ne va in Ungheria, riporta indietro di un decennio. Dopo la crisi del 2008 storie così a Bergamo si ripetevano quasi ogni giorno. Chiusure impensabili fino a pochi mesi prima, nomi antichi e solidi dell’industria locale che svanivano. E la politica? Nel pieno dell’emergenza, parlamentari e consiglieri regionali, giù fino ai sindaci, ora come allora organizzano tavoli (cui poi magari non si presenta la controparte) e comunicano tutto il disappunto per scelte imprenditoriali che danneggiano il territorio. La speranza che l’intervento della politica modifichi davvero situazioni così gravi è però minima. E nemmeno questo è cambiato negli anni tra le due grandi crisi, quella finanziaria e quella post Covid. In questi giorni sale il volume nel dibattito sul voto al referendum sul taglio del numero di parlamentari. Tra chi grida al rischio di svolta autoritaria e chi promette risparmi ed efficienze, resta sullo sfondo la grande debolezza delle istituzioni italiane — e di tutte le democrazie liberali — di fronte alle spinte con le quali il potere economico modifica la realtà. In un decennio non si è costruito un nuovo welfare adeguato alla crescente precarietà. Dall’altra parte non si sono prodotte condizioni più favorevoli all’impresa (fisco, giustizia, soliti nodi italiani). Difficile pensare che la chiave di questi problemi stia nel numero dei parlamentari. Riequilibrare il rapporto politicaeconomia è un processo che richiede forza e idee oggi assenti tra i nostri eletti.