INDECISI CONVINTI
Èdifficile non iscriversi al grande partito degli indecisi verso il referendum sul taglio dei parlamentari. Sono deboli sia le ragioni del sì che quelle del no. Si può essere scettici sul fatto che ridurre da quasi mille a circa 600 i parlamentari, senza altre modifiche alla Costituzione, possa essere considerata una vera riforma. Ma è altrettanto improbabile che ridurre il numero di senatori e deputati metta a rischio la nostra democrazia. Se i bergamaschi si sentano rappresentati dai 20 parlamentari eletti sul territorio (in sostanza nominati dalle segreterie di partito) è il tema sullo sfondo. La distanza tra cittadini ed eletti oggi si è ridotta: un elettore può trovare il «suo» deputato o senatore sui social e può provare a parlarci. Quanto poi a riuscirci, è un’altra storia. C’è una quota non ridotta di parlamentari inaccessibili: li chiami, non ti rispondono, li richiami, scrivi, niente. Saranno timidi? Quando riesci a parlarci scopri che non era snobismo, più che altro inadeguatezza. Il che, tornando al punto di partenza, genera un bel dubbio: meglio lasciare tutto com’è per annacquare il numero degli incompetenti o è meglio ridurre la massa totale, sperando che questo aiuti a selezionare meglio? L’importante è non farsi prendere in giro, ad esempio quando un politico ti dice che il problema è di qualità e non di quantità: leggi elettorali da decenni senza preferenze né (veri) collegi uninominali, primarie per le liste sperimentate e subito abolite, selezioni online dai meccanismi misteriosi.
Non c’è alcun progetto serio per sanare queste distorsioni, come dovremmo esprimere un voto sulla qualità? Il problema dei nostri parlamentari si chiama semmai credibilità: basti dire che oggi c’è chi sostiene il sì dopo aver votato no in Parlamento e viceversa. Uno potrebbe dubitare che dietro le fini disquisizioni giuridiche si nascondano motivazioni più tattiche e prosaiche. In queste condizioni, grande solidarietà ai tanti che arriveranno indecisi sulla soglia della cabina.