Intorno al corpo del Duce
Antonio Scurati presenta il secondo volume di «M.»
«La malattia di Mussolini smentisce l’iconografia della propaganda»
Un Benito Mussolini solitario e agonizzante per gli attacchi di un’ulcera duodenale che lo colpisce nel febbraio del 1925 accoglie il lettore di «M. L’uomo della provvidenza» (Bompiani), atteso secondo volume della trilogia che Antonio Scurati dedica al dittatore fascista. Il romanzo, in uscita domani, abbraccia gli anni fino al 1932, decennale della marcia su Roma, e viene presentato oggi in anteprima ai Bagni Misteriosi del Teatro Parenti. Ne abbiamo discusso con l’autore, vincitore del Premio Strega nel 2019 con il primo «M. Il figlio del secolo».
Mussolini è all’apice del potere in Italia, ma è anche solo e malato. Abituati a discutere della sua immagine, come mai ha scelto questa chiave d’attacco così legata al corpo del dittatore?
«L’idea è che il corpo rappresenti una sorta di contraltare e di smentita dell’immagine ufficiale che il Duce in quegli anni proietta sugli schermi grazie all’Istituto Luce e all’uso innovativo della cinematografia e dei mass-media che lo immergono in una specie di luce semi-divina. Il corpo sta lì con una sua verità carnale a smentire la propaganda ufficiale ed è il luogo in cui si iscrivono, anche in malattie psicosomatiche, le terribili verità del fascismo come regime meschino, violento e corrotto fin dai suoi primi anni».
A proposito dei primi anni, milanesi e al centro del primo romanzo, come prosegue il rapporto di Mussolini con Milano, in cui era iniziata la sua ascesa politica?
«Mussolini mantenne sempre altissima l’attenzione verso quella che lui considerava la sua città. Milano è inoltre al centro di una sottotrama in cui si racconta il malaffare caratteristico degli anni del regime attraverso uno scandalo che è una sorta di Mani pulite ante-litteram. Al centro vi è il podestà di Milano, Ernesto Belloni, uomo brillante, imprenditore, chimico, in predicato di diventare il ministro dell’Economia, travolto da una guerra interna al potere fascista con una campagna di diffamazione lanciata da Roberto Farinacci».
A Roma si chiude anche malamente il rapporto con la critica d’arte, biografa e amante milanese Margherita Sarfatti. Come mai Mussolini lo troncò?
«All’apogeo del comando, Mussolini percorre la solitudine del potere e si libera dei pochi affetti che ha, tra cui quello per la Sarfatti che è, a mio parere, leggendo la loro corrispondenza, l’unica donna che ha amato prima di Claretta Petacci. Sarfatti in quegli anni cerca di ingraziarsi l’ambiente culturale romano, ma non ci riesce. Mussolini la lascia sola e lo fa anche in modo vigliacco, non ricevendola a Roma. Il suo disegno di coniugare arte, potere e affetti personali declina e fallisce».
Lei definisce «M.» come «romanzo documentario», per il grande uso che fa delle fonti, ma non potremmo definirlo come una nuova forma di romanzo storico?
«All’estero la novità formale è stata notata e ben accolta dalla critica, in Italia prevale l’attenzione sulla parte contenutistica, ma considerando anche quanto vado a raccontare, attraverso documenti rari e talvolta nuovi, credo sia normale».
Affondo
Il romanzo abbraccia gli anni dal 1926 al ‘32 in cui il fascismo si rivelò in tutta la sua violenza