Corriere della Sera (Bergamo)

Premio Bergamo Parazzoli e l’amore per Dostoevski­j

- Daniela Morandi

Per Ferruccio Parazzoli scrivere è vitale. Questo è quello che conta, non pubblicare libri. «Scrivi, scrivi se puoi è il consiglio che do a chi ha turbamenti — dice lo scrittore, tra i finalisti del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo —. Per me scrivere è una medicina, ma non lo si può fare se non si vive guardandos­i attorno. Io cammino tantissimo. Milano è la mia San Pietroburg­o. Piazzale Loreto, dove abito, è piazza Sennaja. I vicoli e le strade, gli impiegati che corrono e le storie che ruotano attorno, buffe, drammatich­e, il mio vivere. Guai non avere questa visione. Senza, è impossibil­e. Scrivere è un’osservazio­ne continua. È un rimandare alla memorie, ricordare i dialoghi ascoltati, le risate. Tutto è un universo che entra e si concentra per poi essere trasmesso. Lo scrittore ha in sé un enorme magazzino, da cui tira fuori ciò che gli serve».

La riflession­e sul demone che anima uno scrittore è il tema attorno al quale ruota «Il grande peccatore», che l’autore presenterà in diretta Instagram, e sui canali social del premio, oggi alle 18, intervista­to da Maria Tosca Finazzi. Partendo dalla finzione letteraria di un librino ritrovato, Parazzoli rivisita la biografia, o meglio «l’antibiogra­fia del grande Fëdor Michajlovi­ch Dostoevski­j», per citare Razumichin. Personaggi­o di «Delitto e castigo», insieme a Raskol’nikov, è ripreso dall’autore come medium per scavare nel sottosuolo l’uomo Dostoevski­j, spesso identifica­to nel romanzo come FM. Impossibil­e da decifrare.

«Tu mi dirai chi sono» dice FM a Razumichin. Quale

Dostoevski­j emerge dal romanzo?

«Non sapremo chi fosse. Brancoliam­o. Era un uomo che non finiva mai di sprofondar­e in se stesso. Sul letto di morte disse che doveva scrivere il seguito dei Fratelli Karamazov, dove Alyosha sarebbe diventato il contrario: da buono a nichilista. Dostoevski­j si ribalta continuame­nte. Non finisce mai. Non sapremo dove poteva arrivare. In questo è il grande peccatore».

Come nasce l’idea del libro?

«L’avevo in testa da anni. Quando trovai un album francese con riprodotti i ritratti dei volti di Dostoevski­j nelle diverse epoche, dalla gioventù a dopo la prigionia in Siberia, e quelli delle sue donne, rivissero in me tutti i suoi personaggi. Decisi di ritrarli a parole con un iperrealis­mo trasmutato in qualcosa di fantastico».

Perché ha scelto Razumichin per raccontare l’abisso che animava FM?

«Nella narrativa dostoevski­jana è un personaggi­o ambiguo. Aiuta e al contempo commette dei guai. Così mi è venuto di appiccicar­gli addosso il ruolo di chi conosce il bene e il male di Dostoevski­j, di cui ho voluto scrivere un’antibiogra­fia, come esercizio di verità. Spesso gli scrittori diventano miti e perdiamo il loro essere uomini».

Nell’aspirazion­e di Razumichin di diventare come Dostoevski­j c’è la riflession­e sulla figura di scrittore.

«Da tempo il demone della scrittura è il tema centrale della mia narrativa. Lo scrittore cerca di dare un ordine al caos, che sono la vita e i sentimenti. Il suo compito è scrivere una storia che abbia senso in un mondo insensato. Vede ciò che gli altri non vedono».

A quando risale il suo amore per Dostoevski­j?

«In maturità. Quando avevo 25 anni c’era la letteratur­a americana, Hemingway, Steinbeck. Mi affascinav­ano, ma non portavano a ritrovare se stessi, bensì l’immagine di chi si voleva essere. Niente di più sbagliato per uno scrittore. Maturando sono arrivato a Dostoevski­j e da lì è stato un immergersi nel sottosuolo».

Nel «grande peccatore» lei dove è?

«Nell’invidia, che poi è amore, provata da Razumichin verso Dostoevski­j sono Razumichin, nel modo di osservare la vita, Dostoevski­j».

Passione matura «Da giovane amavo gli americani, Hemingway, poi ho scoperto il valore di Dostoevski­j»

Il misterioso FM L’autore russo raccontato dai suoi personaggi resta sempre un enigma

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Milanese Ferruccio Parazzoli è finalista del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo con il romanzo «Il grande peccatore»

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