Dall’aggressione in ufficio alle cure alla madre
Il doppio volto. Ecco perché non c’è la truffa: Cividate impugna
Quattro anni e mezzo di reclusione, condannato per le lesioni a un collega, assolto per la truffa al Comune mentre curava la madre: le motivazioni della sentenza.
È un uomo dai due volti il Massimiliano Laruccia descritto nelle motivazioni firmate dal presidente del collegio Giovanni Petillo. Quarantanove anni, è l’agente di polizia locale prepotente con il collega, e il figlio che ha accudito la madre malata. Anche gli esiti del processo sono stati opposti: condanna a 4 anni e mezzo per le botte a Fabio Simeoli e per la calunnia che a picchiarlo fosse stato uno sconosciuto, assoluzione per le serate in discoteca truffando il Comune di Cividate che gli aveva concesso l’aspettativa per tornare nella sua Taranto (il Comune ha impugnato).
Se la versione della vittima non fa una piega, per i giudici, quella dell’imputato ha fatto acqua. L’episodio riguarda un giorno preciso (26 febbraio 2014) collocato nel contesto di un «rapporto lavorativo segnato dalle prevaricazioni di Laruccia che faceva pesare la propria anzianità e dava sfogo al proprio carattere prepotente». Tra i due c’era già maretta. Laruccia non aveva gradito le mail di Simeoli al segretario comunale con le segnalazioni dei cittadini che chiedevano l’evasione delle pratiche. In malattia, si è presentato in ufficio, dopo aver disattivato, il giorno prima, la videosorveglianza interna.
Versione della parte civile: Laruccia arriva irritato per la porta chiusa a chiave, già motivo di discussione in precedenza. «Vuoi fare a botte con me? Vuoi fare a botte con me?», dice a Simeoli. «Non ho fatto in tempo a dire “ma stai scherzando?” Che mi ha spintonato al collo e mi ha dato un pugno», rievoca in aula. Poi altre botte. Cade a terra, è una maschera di sangue, riesce a uscire, incontrando un dipendente che lo soccorre e chiama il medico. Versione di
Laruccia: a picchiare è stato uno sconosciuto. I giudici fanno notare che l’imputato ripeterà la versione in aula «anche se con significative differenze». Una, per esempio: prima dice di non essere riuscito a raggiungere lo sconosciuto,poi di aver provato a dividerlo da Simeoli. Inoltre «la versione di Laruccia è contraddetta da altri elementi: dice che Simeoli non sanguinava ma aveva la maglietta sporca di sangue».
Capitolo truffa. In aula vengono ricostruiti 12 venerdì in cui Laruccia è al Quien Sabe di Carobbio come dj nonostante sia in aspettativa per curare la madre, a Taranto. E viene riferito che la sua auto venne avvistata più volte in paese. Ma l’auto era in prestito ad un’amica. E dalla parte dell’imputato c’è la testimonianza della badante: «Era lui quello che faceva la spesa, portava i medicinali, la mamma in ospedale, quello che si dedicava alla mamma. Era lì 24 ore su 24. Tranne qualche volta, magari il venerdì, però un giorno massimo due ma non tutte le settimane».
I giudici tirano le somme: «I fatti vanno circoscritti agli ultimi fine settimana di ottobre e di novembre», quindi «il dibattimento ha consentito di accertare che l’accudimento del congiunto disabile fu effettivo, tanto che il Laruccia si trasferì in Puglia e che, oltre alle limitate attività a Cividate, non risultano ulteriori presenze in questa provincia». Si cita la normativa giuslavorista: c’è un abuso del congedo se viene meno il nesso tra assenza dal lavoro e assistenza. «Ma non è emerso, avendo il dibattimento consentito di accertare che l’assistenza alla madre fu effettiva, continuativa e globale».