«La malattia resta dentro Ex pazienti, uniamoci»
Felice Perani, di Casnigo, è stato in ospedale a Lipsia per quasi due mesi Ora vuole creare un’associazione nazionale di chi soffre per i postumi
Felice Perani (foto), di Casnigo, curato dal Covid-19 in Germania per due mesi, ora vuole promuovere una nuova associazione per gli ex pazienti. E torna a raccontare la sua esperienza: «Quella malattia ti resta dentro».
Ha spiegato la sua idea a due presidenti della Repubblica. È ai malati come lui che non riesce a farla capire. Felice Perani è un ex malato di coronavirus: ricoverato il 17 marzo, uscito dall’ospedale il 4 maggio, tornato a casa dopo la riabilitazione il 13 giugno. «Mi sento un miracolato», ripete. E ha ragione, se si considera che è l’unico sopravvissuto dei nove italiani trasferiti all’ospedale di Lipsia; con lui c’era un giovane ingegnere di Cusio che non ce l’ha fatta. «La Germania è la mia seconda madre» è l’altra frase che ama ripetere e che ha detto anche al presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier, che la settimana scorsa ha celebrato con Sergio Mattarella la collaborazione italo-tedesca durante l’emergenza.
Ma Perani, 57 anni, di Casnigo, docente dell’Isiss Valle Seriana di Gazzaniga (dove quest’anno per precauzione non sarà a contatto diretto con i ragazzi) non è del tutto guarito. E il problema è lì. «Oltre a un blocco renale mi sono rimasti problemi di miocardite, alla tiroide, la trombosi a una gamba e problemi ai nervi che mi paralizzano l’alluce», elenca. Non è l’unico in questa situazione: molti ex pazienti lamentano problemi che vanno dalle difficoltà di respirazione alla perdita della memoria breve. Di qui l’idea di Perani: «Anzi, il mio sogno — precisa —. Quello di costituire un’associazione nazionale di ex pazienti, per accompagnare il post-Covid e affrontare certe situazioni sulla pandemia. Perché c’è un durante e c’è un dopo: ci sono postumi a tutti gli organi. Non voglio speculare, non voglio fare polemiche. Voglio solo sensibilizzare le autorità per far capire che tanti ex pazienti sono trascurati. E visto che dall’epidemia non siamo ancora usciti questo problema potrebbe riguardare sempre più persone. Anche perché ci possono essere conseguenze a lungo termine che non si conoscono ancora».
Ma non tutti gli ex pazienti sembrano essere d’accordo: «Sapere che anche altri hanno il tuo stesso problema ti può aiutare a uscirne. Ma quando ne parlo tanti mi dicono “bravo” e poi non trovo molto sostegno. Ho l’impressione che ognuno voglia vivere il proprio dramma in modo riservato, e tanti non siano ancora pronti a socializzare questo tipo di problema. Io posso capire queste persone: dopo una malattia così, l’idea di avere un danno ti resta scolpita nella mente, non riesci a rimuoverla e ci dovrai sempre convivere».
Perani, per esempio, pensa sempre alla Germania. A quando si è risvegliato senza sapere dove fosse: «Mi sono ritrovato circondato da gente coperta da camici, visiere e che parlava una lingua strana, credevo di essere stato rapito da trafficanti di organi. Invece mi hanno trattato come un figlio, hanno fatto un colletta per comperarmi cibo italiano, mi controllavano minuto per minuto. Gli ho detto: mi avete rivoltato come un calzino». E quando si torna a casa cambia anche il modo di vedere le cose: «A parte che ho trovato mia madre, invalida di 85 anni, che stava meglio di me. Ho capito che fare sport e condurre
Il racconto L’esperienza di Perani e altri pazienti curati in Germania in un incontro fra presidenti
una vita sana è come creare un deposito in banca che serve per i momenti difficili. E che quando passi momenti come quelli che ho vissuto io l’orologio non decide più la tua vita, ma diventa solo un decoro».