Come diventare una milanese
Detta le mode senza inseguirle, è allergica all’acrilico e riceve il giovedì
Per la milanese la forma è sostanza. Parafrasando il conte Robert de Montesquiou si potrebbe affermare che il milanesismo è qualcosa come lo stato nello stato dell’eleganza, qualcosa di più milanese di Milano. Ogni persona è un mistero, ma la milanese è un mistero più grande degli altri. Ci sono molti dettagli, impercettibili ma fondamentali, che la rendono inarrivabile. Milanese si nasce, ma talvolta si può anche diventare. La città dal coeur in man è accogliente e aperta. A patto che scatti l’innamoramento. Quello che Michela Proietti ha coltivato fin dal suo arrivo da Perugia, per uno stage al «Corriere» dove ora si occupa di costume. E che adesso celebra in un libro «La Milanese: capricci, stili, genio e nevrosi che tutto il mondo ci invidia» (Solferino).
«C’è un po’ di milanese in ogni donna, pronta a sbocciare come una peonia (il suo fiore preferito) se trapiantata nel terreno fertile di Milano. Ma la trasformazione richiede un duro lavoro», avverte l’autrice. Sempre con leggerezza e autoironia. La milanese non è mai all’inseguimento dell’ultima moda. Eppure la detta. Riconosce con il fiuto di un cane da tartufo il cashmere, il lino, la seta, l’acrilico che scatena l’orticaria. Al contrario, cura la sua pelle diafana in modo maniacale con creme inodori, incolori e introvabili al duty free. Un po’ si compiace di essere snob. Ai negozi del Quadrilatero preferisce quelli del suo quartiere. Ecologista, ha detto addio alle costosissime pellicce senza rimpianti, si muoveva sulla sua bici ben prima che i bonus del governo ne incentivassero l’uso. Agli stivali griffatissimi che fanno un po’ starlette, preferisce quelli in camoscio con doppia suola che si fa realizzare a mano a Forte dei
Marmi. La milanese si sente un mix tra Jacqueline Kennedy e Jane Birkin alle quali si ispira ancora: in vacanza e nel weekend indossa sandali capresi e cappelli di marchi dei quali la «wannabe» — quella che ambisce a diventare milanese, ma ha ancora molta strada da fare — ignora generalmente l’esistenza. Il gioco malizioso della cittadina doc è sfoggiare il capo di qualità che sembra griffato e invece è scovato al mercato. Il preferito è quello di piazza San Marco solo il lunedì, quando c’è anche il banco del pesce — dove le sciure si contendono maglioncini di cashmere e pantaloni con losanghe di Valentino Rama. L’arte del ricevere per lei è una religione: l’allestimento della tavola travalica il galateo e sconfina nella scenografia. Le porcellane Richard Ginori della mamma, la ricerca di tovaglie di lino grosso. Di solito apre casa il giovedì: gli inviti vengono fatti circa 10 giorni prima, mai nel week end perché di venerdì è già in viaggio per verso i mari, i laghi e le montagne.
L’indole della milanese è salutista. E animalista. Al gatto spesso preferisce il cane: nessuno come lui saprà adularla. Se maschio, verrà chiamato Piero, Silvano, Filippo o Ambrogio. Se femmina, Bianca, Sofia, Olimpia, Carla o Margherita. E pazienza se poi alle feste, chiamando il cane, il convitato omonimo non sempre la prende bene.