Corriere della Sera (Bergamo)

«Dopo 60 anni in Olanda cerco la mia vera mamma, ragazzina punita dal padre»

È nato alla Casa famiglia per le giovani che restavano incinte

- Fabio Paravisi

Quando è nato era bergamasco e si chiamava Francesco Favali. Adesso ha sessant’anni, è olandese e si chiama Frank. E sta cercando sua madre, di cui sa solo che era una biondina dodicenne con un padre che non voleva nemmeno vedere quel bambino.

Sessant’anni fa la Casa famiglia «Santa Francesca Romana» di Mozzo era un grosso complesso a L con una cappella, in mezzo ai campi. Oggi è uguale ma è stretta fra la Briantea e le case cresciute negli anni. L’ha fondata il vescovo Bernareggi per ospitare le ragazze che in quel periodo, quando restavano incinte, venivano scacciate dalla famiglia. Potevano partorire in sicurezza e decidere se tenere il bambino o farlo adottare. A volte erano le loro famiglie a decidere di dare in adozione i neonati anche contro il volere delle ragazze.

È il caso di Mariagnese Bellardita, andata a una coppia siciliana dopo che a sua madre era stato detto che la piccola era morta. Mariagnese ha rivisto la madre naturale dopo 59 anni nel 2016 grazie alla nuova legge che consente di risalire ai genitori naturali.

La stessa cui sta facendo ricorso quello che nasce come Francesco dieci minuti dopo la mezzanotte del 25 ottobre 1960. Viene registrato al Comune di Mozzo con un cognome fittizio e battezzato nella cappella della Casa Famiglia da don Antonio Crippa, che sarà il suo tutore legale. La madrina è la direttrice Mina Giavazzi, che il bimbo imparerà a chiamare Nonna Mina.

La madre del piccolo ha solo dodici anni, del papà non si sa nulla. Il padre della ragazza non vuole avere niente a che fare con quel bambino biondo che, si legge nei documenti dati ai genitori adottivi, «difficilme­nte sta fermo, trova sempre qualcosa da fare e tutto lo diverte», ascolta «canzoncine e dischi», non magia le uova ma il cervello bollito sì, si addormenta solo dopo le preghierin­e e «ha tanto bisogno d’affetto. Ha un carattere forte, va trattato con molta bontà e altrettant­a fermezza».

Il nonno mette la ragazza in un istituto, le fa promettere di non andare mai a cercare il figlio e alla fine decide per l’adozione, quando ormai il piccolo ha già un anno e mezzo. Francesco incontra i coniugi olandesi cinquanten­ni che saranno i suoi prossimi genitori in Città Alta e si rifiuta di stringere loro la mano. L’adozione viene perfeziona­ta il 25 marzo 1962. È lo stesso don Crippa a portare in Olanda il bimbo, che durante il viaggio in aereo rompe tutto quello che gli capita a tiro e lancia arance in giro, tanto che all’arrivo gli devono dare un tranquilla­nte.

Frank cresce sapendo di essere stato adottato e nel 1985 convince la madre olandese ad accompagna­rlo a Bergamo per visitare Nonna Mina. Quando gli raccontano della sua reazione al primo incontro vuole salire in Città Alta e dare alla madre adottiva la stretta di mano che le aveva rifiutato. «Poi a sua insaputa sono andato alla Casa famiglia con la mia fidanzata: lei si era portata un dizionario mentre io avevo seguito un corso di italiano — racconta Frank —. Il cancello era aperto e sono entrato. Ho visto la cappella in cui ero stato battezzato e ho capito di essere nel posto giusto. Ho incontrato la direttrice Piera Gritti, si ricordava di me e ha recuperato alcune mie foto. Ero molto emozionato. Ho fatto un giro della casa, ho visto la stanza in cui vivevo e il giardino in cui giocavo, ho sentito i rintocchi del campanile. Piera ha detto che tanti bimbi nati lì sono diventati musicisti per merito di quelle campane. Le ho chiesto di mia madre, mi ha risposto che ero figlio dell’amore».

Trascorron­o 35 anni di vita, Frank si sposa, ha tre figli e una figlia. È chitarrist­a, la sua band suona rock e blues: «Fin dalla mia infanzia ho fatto musica, ho suonato da solo e in gruppi. Fare musica insieme è la cosa migliore che esista per me». Nella primavera del 2020 Frank risente parlare di Bergamo tra foto di ospedali e di camion militari. Va a frugare tra i vecchi documenti, scopre una corrispond­enza proseguita negli anni fra Nonna Mina e la madre adottiva, poi trova in Rete l’articolo del

Corriere Bergamo su Mariagnese Bellardita e decide di far partire la procedura legale. È molto complessa e prevede che sia la madre naturale a poter dire l’ultima parola sull’incontro con il figlio. Frank contatta Mariagnese che la indirizza dall’associazio­ne Italiadopt­ion dell’Italo-canadese John Campitelli, che aiuta a fare ritrovare i propri genitori ai figli delle famiglie povere del Dopoguerra dati in adozione all’estero.

«Ho spedito a Mozzo una foto di me e Piera del 1985 — racconta Frank — loro mi hanno mandato fotografie e un biglietto di Sandra, che mi aveva lavato dopo la nascita. Poi mi hanno telefonato». Frank inizia la sua ricerca, assicura, «senza rancore verso mia madre, non ne ho mai provato: era giovanissi­ma e in una situazione molto triste. So che in genere le ragazze partorivan­o in ospedale e solo poche, che richiedeva­no più riservatez­za, nella Casa famiglia, mi chiedo perché sia successo così nel mio caso. Voglio incontrarl­a per dirle che sto bene e per farle sapere la mia storia. Se lei non c’è più vorrei comunque scoprire la verità sulle mie origini e magari conoscere i miei parenti. A ogni compleanno mi chiedo se in quel giorno lei pensi a me come io sto pensando a lei. Spero di sì».

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❞ La speranza A ogni compleanno mi chiedo se lei pensa a me come io penso a lei Frank

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Alla nascita al bimbo vengono dati i nomi di Francesco Maria Raffaele (che l’addetto all’anagrafe scrive con due L) e il cognome fittizio di Favali. Al momento dell’adozione il nome viene cambiato in Frank
Il bimbo Alla nascita al bimbo vengono dati i nomi di Francesco Maria Raffaele (che l’addetto all’anagrafe scrive con due L) e il cognome fittizio di Favali. Al momento dell’adozione il nome viene cambiato in Frank
 ??  ?? Il complesso Parte dell’edificio di via Dorotina a Mozzo per anni utilizzato come Casa famiglia in cui le ragazze madri potevano andare a partorire in sicurezza e decidere se tenere il figlio o darlo in adozione
Il complesso Parte dell’edificio di via Dorotina a Mozzo per anni utilizzato come Casa famiglia in cui le ragazze madri potevano andare a partorire in sicurezza e decidere se tenere il figlio o darlo in adozione

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