Contaminazioni tra arti diverse la Gamec riparte
La Gamec inaugura le prime mostre, in sede, dopo la pandemia. La nuova stagione per la cultura bergamasca riparte da «Ti Bergamo - Una comunità» che vede la rappresentanza di 300 autori in 9 sale e da«In the forest, even the air breathes», tradotto «Nella foresta, persino l’aria respira», del curatore indiano Abhijan Toto, assente poiché malato di Covid, vincitore, nel 2019, del «Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte - EnterPrize» (fino al 14 febbraio, ingresso gratuito, sarà in vendita la t-shirt con la scritta Ti Bergamo, metà dei proventi andranno al Cesvi).
«Il primo percorso espositivo rompe gli schemi, mescola, contamina, fa convivere opere d’arte in senso stretto con produzioni dal basso, foto, filmati, illustrazioni, gesti e pensieri di quegli autori bergamaschi e internazionali che si sono espressi durante la pandemia, interagendo con la nostra comunità e partecipando a iniziative di solidarietà», spiega il direttore della galleria, Lorenzo Giusti, curatore insieme a Valentina Gervasoni. «Ci piacerebbe continuare a essere quello che siamo stati, e restituire la positività del fare», aggiunge Gervasoni.
L’esposizione prende il titolo dal disegno realizzato e donato al museo dall’artista romeno Dan Perjovschi a sostegno della campagna di raccolta fondi per il Papa Giovanni che la Gamec ha promosso attraverso i social. L’opera, pennarello su carta, si trova nella prima sala, accanto ad altre letture mordenti e dissacranti della realtà, come la scritta «Made in China quarantined all over», rilanciate sui social del Moma. In mostra anche le vignette di Bruno Bozzetto con protagonista la cagnolina Doggy. Sulle pareti anche le illustrazioni iconiche, come gente in coda fuori dal supermercato, la coppia di sposi con la mascherina o il Papa che cammina per una Roma deserta, commissionate a Emiliano Ponzi dal Washington Post. Grazie al qr code si può ascoltare l’articolo di Davide Agazzi, giornalista di
Bergamonews, letto da Alessio Boni e Giorgio Pasotti, trasmesso da «Mizar», su Rai Due.
Nella seconda sezione sono coinvolti autori bergamaschi di generazioni differenti, che portano una visione dall’interno della comunità, come Trento Longaretti con le grafiche dedicate ai monasteri e Andrea Mastrovito con la maquette dell’opera allestita all’ospedale e, in una sala apposta, il suo film «I am not legend».
Un’altra grande installazione è composta dai 213 scatti di «100 Fotografi per Bergamo», progetto benefico del magazine Perimetro. Ha, invece, come obiettivo il ridare vita ai banchi dismessi del Vittorio Emanuele, con le storie incise, l’aula scolastica riprodotta, con la scritta «I care», motto di Don Milani, sulla lavagna: accoglierà le classi e, il martedì, ospiterà le lezioni di storia dell’arte tenute dagli educatori museali e altre offerte da Fondazione Dalmine.
La seconda mostra del curatore Abhijan Toto tratta il rapporto più consapevole con le terre che abitiamo, concentrandosi sui sistemi cosmologici di Zomia, la fascia forestale che si estende dal Nordest dell’India attraverso il Bangladesh, la Thailandia, il Vietnam e la Cambogia fino alle Filippine. Toto ha indagato come un antropologo per promuovere un nuovo concetto di natura. Sette gli artisti presenti con foto, video, oggetti e disegni su foglie. Tre le sezioni: la riscoperta delle terre fagocitate dall’uomo, l’approfondimento sugli effetti di guerre e occupazioni, il rapporto tra etnie, natura e entità non visibili.
Il rilancio
Dipinti, articoli, foto e installazioni: percorso espositivo fuori dagli schemi
L’altra mostra
Viaggio tra le terre «che abitiamo» con il curatore indiano Abhijan Toto