Corriere della Sera (Bergamo)

Gli altri «traffici» della banda delle estorsioni

- Di Maddalena Berbenni

Dopo la condanna a 11 anni di carcere per Rocco Di Lorenzo, la Procura tira le somme sulla galassia che gli ruotava attorno. Sono due indagini distinte arrivate ora al 415 bis, il capolinea. Ci ha lavorato la Guardia di finanza.

Da una parte c’è quel che resta del fascicolo che ha dato origine al processo concluso a luglio, con la sentenza che ha riconosciu­to il campano di Albano, 63 anni e vari precedenti, a capo di una banda specializz­ata in estorsioni. Dall’altra, c’è il capitolo legato all’arresto, a novembre 2019, di Paolo e Francesco Romano, nipoti di Giuseppe Romano, noto pregiudica­to della Bassa. Nomi e accuse si ripetono. Per Di Lorenzo le nuove contestazi­oni sono due. Nel secondo fronte, è emersa una presunta estorsione nei confronti di Roberto Taiocchi, raggiunto il 7 settembre 2016 in una sala giochi in via San Bernardino e colpito con un casco alla testa. L’obiettivo sarebbero stati 15 mila euro da riscuotere per Delio Belotti. Quest’ultimo avrebbe poi deciso di affidarsi ai calabresi, i Romano, appunto. «Sono quelli che comandano, mica i napoletani», dice intercetta­to alla figlia. In concorso con loro deve rispondere, oltre che di estorsione, di sequestro di persona, lesioni e rapina sempre ai danni di Taiocchi.

L’altra accusa nuova per Di Lorenzo è quella di bancarotta fraudolent­a per il fallimento della Cardme, la carrozzeri­a di Osio Sopra di Ezio e Marco Bonfanti, padre e figlio, parti offese nelle estorsioni e a questo giro coindagati. Avrebbero contribuit­o a mandare l’attività sul lastrico, Ezio Bonfanti anche nel caso della società La Fenice, altra carrozzeri­a, distraendo quasi un milione di euro, tra prelievi in contanti e bonifici. Sono stati accertati, inoltre, importanti inadempime­nti fiscali e la distrazion­e di una Porsche Cayenne da 28 mila euro fatta sparire subito dopo il crac.

Nella stessa inchiesta si andrà probabilme­nte alla richiesta di rinvio a giudizio per Gentian Ndou, latitante albanese di 34 anni, fra i presunti guardaspal­le di Di Lorenzo. E poi per Maurizio Di Matteo, 51 anni, napoletano con residenza a Verdello. Era stato citato dal pm Emanuele Marchisio, nelle battute finali del processo a Di Lorenzo, per fare capire il livello criminale del gruppo. Di Matteo ha alle spalle un omicidio di camorra e 24 anni di carcere. Qui è coinvolto nell’affare Acqua pazza, il ristorante di via XXIV Maggio, che aveva avviato in società con uno dei coimputati di Di Lorenzo, Roberto Ianniello, condannato in abbreviato a 8 anni. L’accusa è di avere riciclato denaro sottratto a società fatte fallire, oltre a 50 mila euro in contanti sulla cui provenienz­a gli inquirenti hanno forti dubbi.

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Il locale Oggi l’Acqua pazza è chiusa

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