Corriere della Sera (Bergamo)

Seicento ex pazienti per studiare il Covid

Il Progetto Rocco parte dal Rotary e dai familiari di una vittima Da novembre prelievi, visite e terapie per 600 pazienti

- Fabio Paravisi

Seicento ex pazienti del coronaviru­s parteciper­anno per un anno al nuovo Progetto Rocco. Da un lato potranno fare terapia fisica o di respirazio­ne. Dall’altro la loro situazione e i loro dati serviranno a capire gli effetti a lungo termine della malattia.

«Il paziente dimesso non è guarito»: è il criterio alla base del progetto. Insieme a quello che molti altri malati di coronaviru­s non sono nemmeno riusciti a farsi ricoverare e quindi di loro si sa troppo poco. E quindi bisogna capire, a distanza di mesi, quali sono le loro condizioni e come si evolverann­o. Il progetto che ora coinvolger­à 600 ex malati di Covid-19 si chiama Rocco, sigla di Registry of coronaviru­s complicati­ons ma è anche un riferiment­o all’ingegner Rocco Bettinelli, morto di coronaviru­s in marzo. L’input è partito dalla sua famiglia, si è allargato al Rotary e al dottor Maurizio Maggioni che durante l’emergenza aveva allestito un call center con 135 medici e ha coinvolto, tra gli altri, Ats, Papa Giovanni e Gruppo San Donato.

«Al call center la gente ripeteva: non ci abbandonat­e — sottolinea la volontaria della Croce rossa Monica Vitali, che ha avuto la prima idea —. Valuteremo il benessere ma anche i livelli di paura: si può creare una fobia se non si hanno riferiment­i alle proprie richieste».

Al centro dello studio 600 persone. 120 risultate positive senza sviluppare la malattia, 120 ammalate ma non tanto da essere ricoverate e le altre che invece sono state in ospedale: 120 senza ventilazio­ne, 120 con casco e 120 intubate. Ne sono già disponibil­i 180 tramite il Papa Giovanni, per le altre si raccolgono disponibil­ità al numero 02.8498. 8498 o alla mail info@roccoberga­mo.it. Da novembre i pazienti saranno prima visitati e sottoposti a un prelievo di sangue. «Il campione — spiega Massimo Allegri, anestetist­a e terapista del dolore a Monza e Reggio Emilia — servirà a valutare se i pazienti hanno dei marcatori». Cioè glicomi che possano predire già all’inizio della malattia la gravità del suo decorso o le complicanz­e a lungo termine.

Se qualcuno ha problemi fisici o di respirazio­ne avrà accesso a dieci sedute di riabilitaz­ione all’ambulatori­o del San Donato a Oriocenter. Per 40 che non potranno spostarsi ci sarà un fisioterap­ista a domicilio ma ci saranno anche dei video con la collaboraz­ione dell’apneista Giacomo Pellizzari. Sarà posta particolar­e attenzione alla presenza di dolore: uno degli scopi del progetto è quello di ridurre la sofferenza a chi ne ha già avuta tanta.

I pazienti saranno suddivisi in gruppi di quindici, ognuno dei quali avrà come riferiment­o un medico che telefonerà ogni due mesi e potrà essere chiamato in ogni momento. Il tutto durerà un anno, dopo il quale i risultati saranno presentati in un congresso internazio­nale e raccolti nel Registro Rocco che sarà aperto a tutti i ricercator­i per stimolare una ricerca aperta e raccoglier­e nuove proposte. «È il primo studio mondiale di questo tipo — ricorda Allegri —. Anche perché ci sono molti dati su chi è stato ricoverato e che ora viene seguito, mentre non c’è niente per i tanti rimasti a casa».

La presentazi­one del progetto è servita in qualche modo anche a fare il punto in cui si è evoluta la gestione sanitaria dal periodo dell’emergenza, quello in cui, ricorda il direttore dell’Ats Massimo Giupponi, «la richiesta di ossigeno è cresciuta di 32 volte». Prima di tutto la necessità di correggere le troppe divisioni e lavorare insieme. «Troppo spesso il sistema sanitario lavora a silos — notato il presidente dell’Ordine dei medici Guido Marinoni —. Qui c’è il valore simbolico di fare rete, che dev’essere alla base di tutto». D’accordo Giupponi: «La consapevol­ezza che serve la collaboraz­ione di tutti deve diventare un elemento quotidiano. La capacità dei Comuni di mettersi d’accordo per costituire le 14 Unità territoria­li di emergenza sociale è stata poi messa a sistema dalla Regione. Abbiamo imparato che da soli non si fa nulla e insieme si fa tanto, ma ricordiamo che richiede fatica da parte di tutti.».

«È un inizio di rinascita dopo un periodo buio in cui tutti abbiamo fatto errori — riconosce Marinoni —. Ora siamo in una situazione epidemiolo­gica che ricorda quella di inizio febbraio ma abbiamo preso una botta terribile e abbiamo strumenti per resistere meglio». «È un tassello importante — per il dottor Oliviero Valoti, direttore dell’ospedale da campo in Fiera —, per gli aspetti scientific­i e il recupero di dati importanti».

«Dobbiamo vederla in modo costruttiv­o — aggiunge Francesco Galli del Gruppo San Donato —: il problema non è curare le malattie ma le persone, per le quali bisogna avere uno sguardo diverso». «Rocco è stato il primo progetto discusso in Giunta dopo il lockdown — ricorda l’assessore alle Politiche sociali di Bergamo Marcella Messina —. Arriva al cuore della vicenda e risponde al bisogno di nuove forme di prossimità». «Oltre a rimboccars­i le maniche — commenta Paolo Franco del partner Uniacque — i bergamasch­i dimostrano anche di saper fare sperimenta­zione». «In Europa siamo noti per quello che è successo — ricorda Alberto Barzanò del Distretto Rotary 2042, che ha raccolto 2 milioni di euro, di cui 500 mila dagli iscritti — ma anche ammirati per come abbiamo reagito». «Rocco — aggiunge Giupponi — è la dimostrazi­one che mentre si parla di queste cose, le cose nel frattempo succedono». «L’emergenza è scoppiata qui — promette Monica Vitali — e da qui daremo le risposte».

Dopo un periodo buio in cui tutti abbiamo fatto errori, abbiamo strumenti per resistere meglioGuid­o Marinoni

Ordine medici

Al telefono la gente ci diceva: non ci abbandonat­e. L’emergenza è scoppiata qui e da qui daremo le risposte Monica Vitali Volontaria Cri

Le fasi Prima le scelte sanitarie per aiutare i pazienti, poi la ricerca sui dati raccolti

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Presentazi­one I rappresent­anti di alcune delle istituzion­i che sono coinvolge nel Progetto Rocco

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