In via San Fermo resta il sequestro
Il processo per truffa: nonostante l’assoluzione, edificio e fondi ancora bloccati
L’immobile è ancora al centro di una disputa legale e resta sequestrato.
Se l’operazione fosse andata in porto, forse in via San Fermo oggi ci sarebbe una moschea. Invece l’edificio, acquistato per essere ristrutturato e trasformato in un moderno centro islamico aperto alla città, è sotto sequestro preventivo. E ci resta.
Lo hanno deciso i giudici del Riesame a cui ha fatto appello Imad El Joulani. Il cardiologo giordano, 59 anni, a dicembre è stato assolto per insufficienza di prove dal processo per truffa in cui era accusato di avere ottenuto con l’inganno i 5 milioni di euro della Qatar Charity Foundation per realizzare l’opera. Ma per il giudice Bianca Maria Bianchi c’è una disputa su quei fondi, che va risolta in sede civile. Dunque il sequestro va mantenuto sull’edificio sia sui 2 milioni e mezzo di euro che ancora non erano stati spesi.
L’avvocato Enrico Mastropietro, che assiste El Joulani, ci ha riprovato con una nuova istanza, respinta. E ora con la carta del Riesame. Il collegio presieduto dal giudice Stefano Storto, senza scendere nel merito, ha dichiarato l’istanza inammissibile, perché ritiene di non avere titolo per pronunciarsi: il nodo va sciolto dalla Corte d’Appello. A Brescia,
per altro, la difesa si è già rivolta per impugnare la sentenza sul punto dell’insufficienza di prove. L’imputato vuole un’assoluzione piena. Sarà inviata, a questo punto, un’integrazione per richiedere il dissequestro.
Per motivi opposti hanno impugnato la sentenza anche le parti civili. La denuncia alla Guardia di finanza era partita da Mohamed Saleh, allora vice del centro di via Cenisio, presieduto da El Joulani. Proprio sfruttando la sua carica, secondo la tesi dell’accusa, aveva ottenuto con l’inganno i milioni del Qatar. Nelle motivazioni il giudice di primo grado aveva fatto notare come non ci fossero prove documentali che El Joulani si fosse mai presentato per conto del centro di via Cenisio. «Occorre considerare che, sebbene per la cultura occidentale possa apparire inverosimile, è pacifico che l’erogazione della somma di 5 milioni è avvenuta sostanzialmente sulla parola — è scritto nelle sentenza —. Manca infatti un atto negoziale scritto di disposizione patrimoniale da Qatar charity foundation ad un beneficiario identificato, con certezza, nel Centro culturale islamico di Bergamo».