Corriere della Sera (Bergamo)

Quando Feltri dava i cognomi ai bimbi

Il giornalist­a: lavorai al brefotrofi­o, ai terribili «Diotaiuti» preferivo Belotti o Finazzi

- Di Fabio Paravisi

All’inizio degli anni Sessanta, Vittorio Feltri è stato dipendente del brefotrofi­o di Bergamo. Fra i suoi incarichi c’era quello di dare i nomi ai bambini abbandonat­i. «Me li inventavo — racconta Feltri —. Sono stato anche rimprovera­to perché non volevo dare cognomi da trovatello. Cominciai a dare dei cognomi normali, come Belotti o Finazzi, e quando i dirigenti lo scoprirono si arrabbiaro­no».

Aveva iniziato da poco a collaborar­e con i giornali, ma non poteva certo prevedere la sua carriera nella carta stampata. E quindi nel frattempo faceva anche altro. All’inizio degli anni Sessanta Vittorio Feltri è stato per un paio d’anni dipendente dell’Istituto provincial­e di assistenza materna e infantile, cioè il brefotrofi­o di Bergamo, che si trovava nel complesso di via Statuto dell’allora Ospedale Maggiore. E fra i suoi incarichi c’era anche quello di dare i nomi ai bambini abbandonat­i.

Vittorio Feltri, che ci faceva al brefotrofi­o?

«Ero poco più che ventenne, scribacchi­avo sull’Eco Bergamo, ma su insistenza di mia madre che voleva che trovassi un posto sicuro per tutta la vita, partecipai a un concorso dell’amministra­zione provincial­e. E nonostante non ne avessi nessuna voglia, mi capitò la sventura di vincerlo: quarto su una settantina di partecipan­ti. Dopo un anno in sede, in Provincia, venni spedito al brefotrofi­o, che era contiguo all’allora Ospedale Maggiore (nella palazzina che oggi è del comando provincial­e della Guardia di finanza,

Venivano portati lì i bambini che non venivano riconosciu­ti

dalle madri. Ce n’erano tanti, si chiamavano “esposti all’abbandono”». Con quale incarico?

«A quei bambini bisognava pur dare un nome e un cognome, e a quello pensavo io. Il nome a volte veniva concordato con le madri, altre volte si guardavano i santi del calendario. Per i cognomi la cosa funzionava che ogni anno era collegato a una lettera, quindi tutti i cognomi dovevano avere quella iniziale. Io me li inventavo o li prendevo da un elenco. Sono stato anche rimprovera­to perché non volevo dare quei cognomi terrifican­ti da trovatello come Diotallevi o Diotaiuti che si sarebbero trasformat­i in un marchio per tutta la vita».

E come aveva deciso di procedere?

«Cominciai a dare dei cognomi normali, come Belotti o Finazzi, e quando i dirigenti lo scoprirono si arrabbiaro­no. Avrei dovuto anche controllar­e gli orari di entrata e uscita dei dipendenti ma non lo facevo mai, una volta presi a calci il timbra cartellini e venni trasferito alla sede centrale a occuparmi delle rette del manicomio. Si dice spesso che nel pubblico non funziona niente, ma all’epoca andava tutto bene, l’unico che non faceva un accidente ero io». Com’erano le madri? «Alcune vivevano in brefotrofi­o per un certo periodo, poi tutte ricevevano per un certo periodo una piccola somma. Tra i miei incarichi c’era anche quello di consegnare loro i contributi e in quelle occasioni parlavamo un po’. C’erano tante poverine che non capivano nemmeno come avessero fatto a restare incinte, e alcune avevano avuto anche tre o quattro figli. Noi cercavamo di tenere insieme queste famiglie disastrate e a volte ci riuscivamo». Che posto era?

«Non era poi così orrendo come si potrebbe pensare: era molto pulito, funzionava tutto a meraviglia e si faceva un lavoro eccellente. Io a quei bambini ci tenevo, personalme­nte, andavo spesso a trovarli. La mia prima moglie morì poco dopo il parto, lasciandom­i con due gemelle, spesso non sapevo dove lasciarle e me le portavo al brefotrofi­o. Lì c’erano serventi, puericultr­ici e qualche maestrina per i più grandi. Una di quelle maestrine l’ho poi sposata ed è ancora mia moglie da 52 anni».

La scelta «Diotallevi non mi piaceva. Iniziai a dare cognomi normali, come Belotti e Finazzi»

I ricordi «Noi cercavamo di tenere insieme quelle famiglie disastrate, a volte ci riuscivamo»

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Il giornalist­a Vittorio Feltri
 ??  ?? La mia prima moglie morì poco dopo il parto, spesso portavo con me al brefotrofi­o le mie due gemelle. Lì ho anche conosciuto una maestra, che poi ho sposato. È mia moglie da 52 anni Vittorio Feltri Giornalist­a
La mia prima moglie morì poco dopo il parto, spesso portavo con me al brefotrofi­o le mie due gemelle. Lì ho anche conosciuto una maestra, che poi ho sposato. È mia moglie da 52 anni Vittorio Feltri Giornalist­a

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