Corriere della Sera (Bergamo)

«Omissis e voci di paese Così ho scoperto chi era mia madre»

- F.P.

una targa, un cartello, un piccolo segnale. Qualcosa che ricordi le storie dimenticat­e di quasi seimila bambini e delle loro madri. Storie iniziate dietro le vecchie pareti di quell’edificio di via Statuto dove ora sono parcheggia­te le auto dei finanzieri, ma dove una volta c’era il brefotrofi­o, e poi proseguite nei mille rivoli delle loro esistenze. Ma a volte tornate al punto di partenza, fino a scoprire il volto e la storia di una ragazza che tanti anni fa aveva deciso di rinunciare al suo bimbo.

Giuliano Maffeis ha 57 anni, vive a Fiorano ed è operaio tessile. Quando nasce, il 23 febbraio 1963, e gli mettono il cognome Lanciani, è l’undicesimo bambino dell’anno ad arrivare alI’Istituto provincial­e di assistenza materna e infantile. Cioè quel padiglione che era collegato all’Ostetricia dell’Ospedale Maggiore e oggi diventato il comando provincial­e della Guardia di Finanza. In quel corridoio, tra il reparto e il brefotrofi­o, in 45 anni sono passati 5.770 bambini. Ogni tre giorni un fagottino con il suo carico di storie, di paura e disperazio­ne.

«Ricordo dei grandi stanzoni e i frati che per farci prendere un po’ d’aria ci portavano a turno nel cortile dell’ospedale — racconta Giuliano Maffeis —. Eravamo in 180, per cambiare i pannolini a tutti ci volevano ore. Ci chiamavano ‘i bambini senza sorriso’. Per forza».

Dopo quasi tre anni ai finestroni dell’istituto si affacciano Attilio Maffeis, norcino a Leffe, e Lidia Magugliani. Hanno perso il figlio di cinque anni caduto dal secondo piano, e dopo il calcio di un cavallo e cinque mesi di ospedale, Attilio si è sentito dire che non potrà avere altri figli. Sono loro ad adottare Giuliano. «È stato strano stare in una casa con solo due persone, non ho parlato per due mesi e quando mia madre usciva della stanza mi attaccavo alle sue gambe, avevo paura di restare solo. È una cosa che mi porto dietro ancora». Nel frattempo si scopre che i medici si erano sbagliati e alla coppia nasce un altro figlio. «Ma non hanno mai fatto differenze, mi hanno sempre dedicato tanto amore — prosegue Giuliano Maffeis —. Solo i miei cuginetti mi chiamavano trovatello, non sapevo nemmeno cosa volesse dire. I genitori mi hanno raccontato dell’adozione a sei anni, c’è stato smarriment­o ma è meglio saperlo da piccoli».

Dieci anni fa Giuliano decide di scoprire la sua famiglia d’origine. «È come se avessi sempre tenuto dentro di me i miei genitori naturali. Ho letVorrebb­e to di una signora di Albino nelle mie condizioni che era riuscita a trovare i suoi, le ho chiesto consiglio».

Dalla Provincia ottiene un documento pieno di omissis, si sa solo che la madre era di Calcio. «Ho girato in paese finché ho fermato per strada un signore anziano e gli ho raccontato la mia storia. Lui mi ha portato da un impiegato dell’anagrafe in pensione che ha fatto ricerche e telefonate e dopo tre settimane ha trovato la mia famiglia d’origine».

Giuliano arriva a una cascina e a una famiglia di dieci figli. L’ultima era sua madre, una donna bruna con un bel sorriso. Quando ne aveva 23 ed era infermiera al Niguarda era rimasta incinta di un uomo che ha non mai voluto rivelare e aveva dovuto rinunciare al bambino: «Poi ha fatto la cassiera nei bar e la badante, ha avuto una figlia da un uomo importante di Bergamo che aveva già famiglia ed è morta a 60 anni di cancro, la vigilia di Natale del 1999. Mi sono presentato dalla mia sorella naturale con un mazzo di fiori: non ci sono state scene da film ma c’è intesa. La mia famiglia d’origine sapeva che esistevo, ci vogliamo bene. Ho chiuso un cerchio».

Ma sono tante le storie senza finale partite dallo stesso punto. Per questo da due anni Giuliano Maffeis sta cercando di far mettere davanti all’ex brefotrofi­o un cartello simile a quelli che indicano gli edifici storici, che ricordi la storia dell’istituzion­e. Ne ha già parlato con il Comune e la Finanza: «Chi passa in quel punto non sa cosa c’era lì, quanti bambini ci sono stati e quanti ricordi ci sono. Il brefotrofi­o mi ha salvato la vita».

L’idea Giuliano Maffeis vorrebbe una targa per ricordare il brefotrofi­o

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La struttura Nell’immagine una veduta dell’area degli ex Ospedali Riuniti. In basso a destra, la struttura ad angolo, oggi comando della Guardia di Finanza, era il brefotrofi­o di Bergamo

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