Trent'anni fa moriva Giono L’amore dello scrittore per la «Giulietta» Bergamo
La sua visita nel 1951 descritta in «Voyage en Italie»
Il 9 ottobre 1970, moriva a Manosque, sua città natale, in Provenza, Jean Giono, autore di una trentina di libri fra cui il fortunatissimo «L’uomo che piantava gli alberi». Aveva settantacinque anni e dopo aver lavorato «in banca» e «non qualche giorno o alcuni mesi, ma diciotto anni», aveva raggiunto il successo. Soprattutto — si è detto — come scrittore «ecologista». In realtà scrittore lo era senza bisogno di aggettivi Aveva raccontato il suo mondo, reale e letterario, con uno stile originale costruito su espressioni idiomatiche, descrizioni inusuali, giudizi sorprendenti, paragoni fulminanti, metafore assurde. Deformando la realtà attraverso l’immaginazione, ma mettendo l’uomo e il Creato al centro di un infinito gioco d’intrecci. E mostrando una felicità sempre a portata di mano, amando egualmente la vita — scriveva — «anche quando complicata». Una felicità tutta dentro le piccole cose: fra queste il fermarsi a lungo ad osservare o l’andare con la mente a ricordare volti e luoghi…
Qualcosa che gli capitò di fare anche a Bergamo e dintorni nel ‘51, durante il suo tour in Lombardia, venuto in Italia «per essere felice» e per guardare «con gli occhi della testa» quello che sino ad alloassorbito ra aveva immaginato «con gli occhi della fede». Un tour raccontato nel «Voyage en Italie» scritto nel ’52 e uscito da Gallimard nel gennaio ’53. Giono arriva a Bergamo all’imbrunire con la sua Renault 4CV insieme alla moglie Elisa e una coppia di amici: «Cade la sera appena ci avviciniamo a Bergamo…». E subito però il resoconto di quella serata viene dalle sue conoscenze orobiche. In particolare pensa al suo vicino bergamasco a Manosque che coltiva un orto giusto sotto la finestra del suo studio e che guarda spesso alle prese con spinaci, patate, fagioli, ecc. Poi ad un altro bergamasco che conosce di cui scrive: «Lo è talmente che i suoi amici l’hanno soprannominato “Bergues” e che nessuno ormai conosce più il suo nome». «Avevo con Bergues una solida relazione di amicizia…», continua descrivendone le doti prima di boscaiolo poi di cercatore di erbe medicinali. Ma ecco finalmente il profilo della città, anzi della città bassa che — annota — «emerge da una piccola pianura paludosa tutta bruna di giunchi», poi ecco «Città Alta, sulla sua colina, con Santa Maria Maggiore, il suo Duomo, la sua Rocca, San Michele al Pozzo Bianco, i suoi alberi neri e il suo silenzio», che scrive «mi fa pensare alla Giulietta di Shakespeare: ‘Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?”».