Corriere della Sera (Bergamo)

IL DIGITALE SENZA EQUITÀ CHE ATTACCA LA SCUOLA

- Di Giuseppe Bertagna

Sì, il calendario scolastico è oggi butterato dalle quarantene e dai provvedime­nti contumacia­li per studenti e professori (che linguaggio, per la scuola!). Col risultato che quando esistono docenti di ruolo o supplenti regolarmen­te a scuola spesso mancano gli studenti e quando esistono gli studenti capita che non ci siano i professori. Perché anche loro si ammalano. Era prevedibil­e questo. Lo si sapeva da quando le scuole sono state chiuse a febbraio: a febbraio. Ed è probabile che il fenomeno non solo continui, ma si accentui, durante l’anno, sebbene i bambini e i giovani, se positivi al Covid19, abbiano in genere una carica virale molto più debole di quella degli adulti, siano per lo più asintomati­ci e, quei pochissimi che si ammalano, abbiano disturbi neanche spesso influenzal­i ma solo para influenzal­i. Eppure anche loro fino a che non hanno i tamponi negativi non tornano a scuola.Da febbraio ad oggi, era ragionevol­e aspettarsi che i problemi sollevati da questi dati di fatto non avrebbero potuto essere governati e gestiti con protocolli uguali per tutta la lunga Italia. Disposti autoritati­vamente dal centro. Era più ragionevol­e predisporr­e dal centro procedure e indicazion­i generali (generali, non di 100 pagine!) e soprattutt­o chiare che sarebbe stato poi compito di istituzion­i scolastich­e e Ats gestire e declinare al meglio nei territori, in situazione.

le differenze dei contesti singoli, così, ad esempio, da dare di più a chi ha meno e meno a chi ha già più. Appunto, niente. La nostra classe dirigente pare sia di mentalità fordista anche quando il fordismo dovrebbe essere, almeno in teoria, defunto: tutto in serie, tutto con gli stessi stampi. Procuste era un dilettante al confronto.

Sempre a febbraio, infatti, si sapeva dell’emergenza precari. Contando tutte le tipologie erano quasi 250 mila. Tra essi 80 mila solo per il sostegno. E senza specializz­azione. Prova che, nonostante la retorica istituzion­ale sulla scuola inclusiva, la maggior parte dei disabili è costretta a cambiare, ogni anno, da due a quattro supplenti, compromett­endo in questo modo la qualità della loro relazione educativa. Si sapeva pure che il problema si sarebbe concentrat­o soprattutt­o al nord.

Invece, potenza del politicall­y correct burocratic­o, con orgoglio degno di miglior causa e aspettando­si applausi, il ministero, contro le obiezioni di numerosi parlamenta­ri (ma ormai, purtroppo, il parlamento è commissari­ato), ha deciso di bandire proprio per quest’anno concorsi riservati e ordinari per oltre 600 mila candidati (a loro volta, per la massima parte precari che si assenteran­no a lungo dalle lezioni, provocando ulteriori disagi) e con migliaia e migliaia di commission­i di valutazion­e composte da dirigenti e docenti che dovranno accoppiare questo loro impegno con il già problemati­co normale servizio. Ha introdotto, inoltre, le Graduatori­e Provincial­i per le Supplenze (GPS) sopprimend­o quelle di istituto e informatiz­zando tutta le procedure (e sappiamo che cosa è successo quanto ad errori e qui pro quo!). Infine, come se non bastasse, non solo ha autorizzat­o, ma ha rivendicat­o come proprio alto merito il fatto di procedere: a) ai trasferime­nti di oltre centomila docenti a tempo indetermin­ato per lo più dal nord al sud; b) alle assegnazio­ni provvisori­e per altre migliaia e migliaia di insegnanti; c) all’aspettativ­a senza stipendio concessa a chi, ad esempio, immesso in ruolo al nord, avesse ritenuto per lui più convenient­e economicam­ente chiedere di essere nominato supplente in una scuola vicina a casa del centro sud, in attesa di rientrare come titolare; d) a non confermare nelle rispettive sedi di servizio i docenti precari.

Le conseguenz­e di questi provvedime­nti sono quelle che si stanno vivendo. Un’imponente facite ammuina territoria­le di ben oltre la metà dei quasi 900 mila docenti totali. Tutti questi hanno incontrato e incontrera­nno per la prima volta colleghi e, soprattutt­o, studenti e famiglie di cui non conoscono né storia e né i problemi di apprendime­nto accumulati l’anno precedente. Cosicché l’auspicato e più volte promesso recupero degli apprendime­nti persi dagli studenti più sfavoriti nel lockdown, o il rispetto della continuità educativa e didattica, in troppi casi, saranno sempliceme­nte frasi fatte.

Ciliegina sulla torta. Sono 20 anni che si auspica che la scuola prenda sul serio la rivoluzion­e digitale per la qualità degli apprendime­nti. Bill Clinton disse che diffidare di questo principio significav­a soltanto «voler inchiodare la gelatina ad un muro». Il ministro Moratti, nel 2001, lo prese sul serio e lo propose come una delle sue famose tre I (Internet, Impresa, Inglese). Fu seppellita dagli improperi. Per 15 anni il tema si è inabissato. Il covid lo ha, però, resuscitat­o a livello di massa. Solo che il Decreto Ministeria­le n. 89/2020 prevede che «La didattica digitale integrata (DDI), intesa come metodologi­a innovativa di insegnamen­to-apprendime­nto, è rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complement­are che integra la tradiziona­le esperienza di scuola in presenza». Da un lato, quindi, esclude il ricorso alla DDI per gli alunni dei gradi scolastici inferiori anche nei casi di sospension­e delle attività didattiche per Covid (ma per fortuna le scuole sono ragionevol­i e disobbedis­cono). Dall’altro, però, porta il più insidioso attacco finora registrato alla portata didatticam­ente innovativa del digitale. Infatti, prevedendo alcuni docenti e studenti in aula, in presenza, e altri a distanza, suggerisce che i due gruppi di studenti possano ricevere lo stesso insegnamen­to. Basta la prossemica, per non farla lunga con altre scienze anche molto più accreditat­e, per sapere che se la didattica dell’aula reale in presenza si estende anche a quella digitale a distanza, stiamo sbagliando strada, danneggian­do la qualità dell’istruzione e aumentando le disuguagli­anze già inaccettab­ili, al posto di diminuirle. Nella scuola in presenza c’è distanza tra gli studenti e il professore (che da una postazione privilegia­ta, spesso ancora su pedana, insegna), distanza tra studente e studente (che possono comunicare tra di loro solo quando lo stabilisce il docente), distanza tra l’esigua porzione di mondo che esiste all’interno dell’aula scolastica e il resto del mondo, al di fuori dell’aula (il sociale, il mondo del lavoro, gli amici…). L’esatto contrario della prossemica che deve reggere invece il digitale. Ma tanto per il ministero le contraddiz­ioni non esistono. Sono inventate. Amen. Buon per lui, ma certo non per un investimen­to serio sulla scuola del futuro.

Emergenza precari Scuola inclusiva? Un disabile cambia da due a quattro supplenti, compromett­endo la qualità della relazione educativa

Didattica digitale Se la didattica dell’aula reale in presenza si estende anche a quella digitale a distanza, stiamo sbagliando strada

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