Alla frontiera turco-georgiana Viaggio bloccato dal virus
Con una bici e due borse il giornalista Sergio Ghisleni continua il suo giro del mondo. Partito da Reedsport (Oregon), ha raggiunto Yorktown (Virginia). Poi da Fisterra (Spagna) a Istanbul passando per Venezia. In questa tornata, da Costantinopoli ha attraversato l’Asia Minore fino alla frontiera turco-georgiana. Ecco la quarta e ultima puntata di questa tappa.
Poi più che l’istinto potè il virus. Ma non per infezione: è ormai noto che i virus si contraggono stando al sicuro a casa, per esempio a Bergamo, Prımo Mondo Avanzato, non viaggiando in bici verso l’immenso minaccioso Oriente, come disadattati ad alto rischio d’esclusione sociale.
No, il punto-e-virgola a questo viaggio lo impone la frontiera turco-georgiana, tuttora chiusa al traffico civile per emergenza sanitaria. Sulla nostra rotta poi ci sarebbe la frontiera caucasica Georgia-Russia, con Putilandia che da mesi non concede normali visti a noi cittadini Ue. Questo si sapeva. Ma il Gürgistan (Georgia in turco: pronuncia «Giorgistàn» ove la O tende alla U, con fonetica quasi orobica) ci ha dato invece una brutta notizia già al consolato di Trabzon, 200 chilometri prima del confine.
Ma le gambe giravano, le piogge previste latitavano, e dunque s’è voluto sbattere il naso fin contro i doganieri, ad appena 15 chilometri dalla città georgiana di Batumi. Inutile cercare «incozzi» (è incompatibile colla filosofia di questi viaggi). Di qui si ripartirà, nel forse più quieto 2021.
Ai cicloPuristi nostrani piace il dato concreto, al di là di tanta fuffa turcologica. Da
Istanbul all’estremo Nordovest, stando quasi sempre sul mare, l’aggeggino da non guardare mai ha contato 1.380 chilometri, che ne includono una quarantina per districarsi dalla tentacolare metropoli. Giorni di viaggio: 18 (pedalati 16, riposi 2). Pernottamenti: 7 in tenda, 2 in case private di amici fatti in loco, 8 in hotel vari a prezzi anche inferiori ai 15 euro, per stanze decenti e colazioni ottime, specie se si apprezzano le virtù del tè.
Forature: due, incredibilmente poche viste le strade, che peraltro a Ovest migliorano molto. Incidenti meccanici o cadute: una, che fa salire la media dei precedenti da 0,66 a 0,75 a viaggio. Migliorabile, sì.
Ai più «tecnici» piacerà sapere che per uno che ai 35 all’ora ci arriva di rado e solo col vento dietro, almeno un «28» sul pignone posteriore é d’uso frequentissimo causa pesobagaglio. Per il resto, un telaio da corsa un po’ all’antica in acciaio va benissimo, e per le ruote beh, tanti auguri. Le «rotaie d’asfalto» sciolto dal sole, le strisce rugose e i ghiaini-oni infidi sono norma, ma le voragini viste qui non hanno precedenti, almeno per chi racconta. Merita un omaggio un copertoncino, prodotto Usa, buttato via nella crescente città di Samsun (senza G) e che era stato montato nel Montana. Quindi si era «fatto» trequarti di Stati Uniti e prima di questo viaggio anche Venezia-Istanbul, ma non il tratto Euro-occidentale Spagna-Francıa-Norditalıa. Comunque: avercene, di materiali così. Per certi versi antipatici e megalomani, gli americani. Ma alcune cose le fanno gran bene.
Ecco tutto. L’Asia Minore è fatta, perché era fattibile. Poi vedremo. Per tornare colla bici inscatolata alla cara vecchia Europa, ci tocca un aeroporto che poco tempo fa fu trending-topic per la foto di un DC9 finito nella scarpata a bordo pista, con un’ala quasi a mollo nel Mar Nero. Sì, perché vedete, girare il mondo in bici e col bagaglio è una follia. La gente normale invece, la tecnologia avanzata, quello sì che è logico.
La verità (nostra, certo) è che pedalare per il mondo è un giochetto da ex ragazzi mai cresciuti. Il sempre-più difficile, e i bergamaschi lo san bene, è il sopravvivere a una vita cosiddetta normale.