Noi, figli di un calcio minore
La vita dietro le quinte di una squadra amatoriale Tra sogni, soprusi e intrighi
Il lato oscuro del calcio. Non del mondo dorato della serie A bensì di quello più defilato delle serie minori o amatoriali della provincia lontana dai riflettori. Campetti spelacchiati in cui si sogna il green dei grandi stadi, mentre si mescolano ambizioni e illusioni, soprusi e sacrifici, intrighi e doping. In Inghilterra come in Italia. Patrick Marber, il cui titolo più noto è «Closer» (poi film di Mike Nichols con Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts e Clive Owen), scrive nel 2015 «The Red Lion», ispirandosi a un’esperienza personale con una squadra di provincia inglese, che contribuì a salvare dalla bancarotta tramite l’azionariato popolare.
Dopo il debutto nel luglio scorso al Napoli Teatro Festival Italia, la pièce è in scena da questa sera al Piccolo Teatro Grassi, con Nello Mascia, Andrea Renzi e Simone Mazzella diretti da Marcello Cotugno in una coproduzione fra La Pirandelliana e Teatri Uniti. Cambia però il contesto che, grazie all’adattamento di Andrej Longo, si sposta in area campana a sottolineare da una parte l’universalità del tema e dall’altra la sua maggiore efficacia se avvicinato alle nostre temperature, dove comunque la passione per il football ha notevoli assonanze con il mondo anglosassone. Intorno a Palmiero, una giovane promessa che, vittima di un incidente familiare, decide di iniettarsi nel ginocchio massicce dosi di anabolizzanti pur di continuare a giocare, si muovono altri due personaggi: l’allenatore Rosario (Renzi) e l’anziano factotum della squadra Gaetano (Mascia). Entrambi senza scrupoli, ma anche ignari del problema del ragazzo, su cui proiettano le frustrazioni di una vita di insuccessi, cercano di trarre profitto dal suo talento e dal suo desiderio di fare il grande salto verso la serie maggiore.
«“The Red Lion” — spiega il regista — non parla solo di calcio, è anche una riflessione sulla lealtà e il senso di appartenenza. Il lirismo di certi passaggi contrasta con il linguaggio a tratti violento e con l’avidità e la mediocrità che aleggia nello spogliatoio dove si svolge l’intera pièce. Patrick Marber ci invita, attraverso un argomento cross-generazionale e di immediata ricezione, a riflettere sulla perdita di valori che oggi riguarda tanti altri contesti del contemporaneo». Su una scena allo stesso tempo simbolica e realistica, puro teatro d’attore grazie al quale il calcio diviene metafora dei valori decaduti della civiltà occidentale, tra sogni e sconfitte di un mondo analizzato con ironia e spietatezza, poesia e disillusione.