Enzo Mari, militante e geniale
Un ricordo del grande designer scomparso ieri a Milano a 88 anni Quel maglio alla Bocconi e i «panettoni» dissuasori che finì per odiare
Alessandro Mendini diceva di lui che era «la coscienza del design». Perché fra i protagonisti che hanno contribuito all’affermazione del made in Italy nel mondo, Enzo Mari era il più impegnato nelle questioni sociali e politiche. «Ricordo che il 25 aprile del 2010 facevo politica e lui voleva darmi una mano», racconta Stefano Boeri. «Arrivò, prese in mano lo striscione e si mise davanti al corteo. Ha sempre preso le cose in modo serio ma non serioso. Tutti lo scambiavano per un burbero, ma in realtà aveva sempre la capacità di convertire il rigore in gioco». Anche il designer Paolo Ulian, collaboratore di Mari e autore dell’allestimento della mostra alla Triennale, vuole citare un episodio di impegno civile. «Ho un bel ricordo di quello che Mari ha fatto nel ‘74 quando portò alla Bocconi un maglio di 20 tonnellate per denunciare la morte di un operaio ucciso dalla polizia mentre tentava di entrare nella biblioteca assieme agli altri operai. Quel maglio è rimasto lì come una scultura, un pezzo storico, e nessuno l’ha mai rimosso».
Mari era nato a Cerano, in provincia di Novara, nel 1932 e a Milano aveva frequentato l’Accademia di Brera. Il suo esordio era stato nell’arte e collaborò con il gruppo dell’Arte cinetica di cui faceva parte anche Bruno Munari, altro sperimentatore con il quale si impegnò in progetti che mettevano l’accento sulla funzione sociale ed educativa tanto che dal 1963 al 1966 Mari insegnò alla Società Umanitaria per poi arrivare al Politecnico. Al design approdò negli anni Sessanta, quando l’azienda Danese gli diede grandi occasioni, e fra una sedia, una libreria o un gioco per bambini, vinse cinque compassi d’oro compreso, nel 2011, quello alla carriera. Nel 2015 l’Accademia di Brera gli ha conferito il Diploma Accademico Honoris Causa in Arti
Visive e il titolo di Accademico d’Italia perché come teorico e filosofo del design, Mari scrisse celebri saggi.
Per Milano, coinvolto dall’allora sindaco Tognoli, ideò tre soluzioni per piazza del Duomo e due per piazza della Scala. «Se ne fece solo una mostra. Il progetto venne poco capito, ma varrebbe la pena rileggerlo: credo che la sua idea della piazza come un disegno ordinato che ha il suo riflesso funzionale nella rete di cavi che la attraversano nel sottosuolo troverebbe oggi molti estimatori», dice l’architetto Giampiero Bosoni, docente al Politecnico. «Lavorare con lui conversando fino a notte fonda era il piacere di stare accanto a una mente che possedeva un approccio speciale alla coscienza del design».
Suo malgrado, invece, riuscì a realizzare i panettoni dissuasori in cemento. «Non li amava perché negli anni Ottanta e Novanta erano diventati un intervento massivo», racconta Francesco Faccin, designer e docente che ha collaborato con Mari. «Svolgevano molto bene la loro funzione e c’era il riferimento culinario, ma Mari non aveva previsto che sarebbero stati collocati in grande quantità. Ora sono stati rimossi, però hanno creato l’estetica di Milano. Avevano un brutalismo che apparteneva sia a Mari sia alla città, cruda e calvinista»
Stefano Boeri «Tutti lo scambiavano per un burbero, ma in realtà sapeva convertire il rigore in gioco»