«Tangenti e favori sessuali, così entravano i clandestini»
Chiusa l’indagine su Elmonda Popa, quattro pubblici ufficiali sotto accusa
A dispetto degli accordi e delle presunte mazzette allungate, non sempre i passaggi alla frontiera di Orio al Serio andavano a buon fine. Il 27 gennaio 2021, ad esempio, Antonino Pistone non era di turno. E così l’ennesimo albanese a cui aveva garantito un ingresso in Italia facile e indolore, nonostante non avesse documenti in regola e fosse considerato dalla Questura «pericoloso per l’ordine e la sicurezza interna», si ritrovò respinto, come giusto.
È ancora tutto da dimostrare, ma intanto per l’ex sovrintendente capo della Polizia di Stato, 58 anni, di Bergamo, addetto ai controlli dei passeggeri dei voli extra Schengen, il pm Silvia Marchina ha tirato le somme dell’inchiesta per corruzione, falso ideologico e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con al centro l’albanese trapiantata a Treviglio Elmonda Popa, lei 38enne e madre di due bambine. Ora è subentrata nel bar del cugino ad Agnadello (Cremona) e giura di avere chiuso col passato. A marzo 2021, entrambi finirono in carcere, rischiando di trascinare nello scandalo pure il sindaco Juri Imeri, sotto elezioni, per i rapporti con Popa e per una telefonata in cui la donna si raccomandava di votarlo con un cliente della sua agenzia per l’immigrazione «Tutti i colori del mondo». Ci fu anche un pranzo con Pistone presente.
Nell’avviso di conclusione indagini, notificato ai 12 interessati, la corruzione è contestata a Popa e Pistone per favori in cambio di almeno 74.820 euro promessi, di cui, per gli inquirenti, una somma tra i 3.750 e i 4.750 euro effettivamente consegnata all’agente tra il 10 febbraio 2020 e il 10 e 18 dicembre successivi. Dodici gli episodi ricostruiti. Dello stesso reato deve rispondere il funzionario della Prefettura Claudio Oliviero, 47 anni, di Seriate, tra il 2017 e marzo 2021 in servizio prima all’Ufficio per il conferimento della cittadinanza italiana e poi all’Ufficio ricongiungimenti familiari. Nel suo caso, si parla addirittura di favori sessuali ricevuti da Popa, che così avrebbe ottenuto una corsia preferenziale per le pratiche della sua agenzia.
I viaggi sotto la lente della stessa Polizia, quasi sempre dall’Albania, erano reali ma anche fittizi. Nel primo caso, il clandestino di turno di solito si trovava Pistone ai controlli e in questo modo scongiurava il respingimento. Nel secondo, si spostavano solo i passaporti, con timbri che attestavano falsamente l’ingresso in Italia di chi avrebbe dovuto tornare in patria e poi conquistarsi l’eventuale rientro. Invece, non si muoveva. Due impiegate di Popa rispondono di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per averla aiutata nella gestione di queste pratiche, cinque albanesi di uso di atto falso per il trucco dei timbri. L’agevolazione di un ingresso falso è contestato anche al vice ispettore Giuseppe D’Addetta, 53 anni, di Bergamo, collega di Pistone. Gualtiero Prometti, 54 anni, di Bergamo, assistente capo all’Ufficio immigrazione della Questura, a luglio 2020, avrebbe invece interrogato indebitamente il sistema informatico delle forze dell’ordine e rivelato a Popa che era stata denunciata.
Da quella soffiata partì l’indagine, che successivamente ha dato vita a una ben più inquietante serie di accuse su Milano, rispetto a ingressi clandestini dall’Albania per finte ragioni mediche e per sfruttare il sistema sanitario italiano. Non riguarda Popa se non per un’intercettazione telefonica con l’indagato principale, un suo connazionale che lei ammette di conoscere perché originario del suo paese. Contattata, la 38enne in questa fase preferisce restare in silenzio anche nel rispetto del pm, a cui ha chiesto di essere interrogata prima della quasi sicura richiesta di rinvio a giudizio (non è stato possibile, invece, avere una risposta dai difensori di Pistone e Oliviero). In un’intervista, l’estate scorsa, si era detta pronta a pagare per i propri sbagli: «Era il periodo del Covid, Pistone mi contattò in agenzia, siamo entrati in confidenza e sottovalutai completamente la situazione. Non mi rendevo conto, pensavo di avere commesso un errore, sì, ma non un possibile reato. L’ho capito molto, molto tardi».