Corriere della Sera (Bergamo)

«Foibe, una tragedia che non dev’essere dimenticat­a» Le cerimonie per ricordare le vittime in Jugoslavia e le tante famiglie che cercarono aiuto in città

- Federico Rota

Le persecuzio­ni, le «sparizioni di migliaia di persone nelle foibe e nei campi di prigionia, le uccisioni, le torture» patite dagli italiani d’Istria, Dalmazia e VeneziaGiu­lia alla fine della Seconda Guerra Mondiale sotto l’occupazion­e dei comunisti jugoslavi «costituisc­ono una tragedia che non può essere dimenticat­a». Il muro di silenzio che ha colpito le vittime dei partigiani di Tito, già citato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è evocato anche dal sindaco Giorgio Gori, durante la cerimonia svoltasi nel parco delle rimembranz­e in Rocca per la Giornata del Ricordo: «Quei tentativi di negazione o di minimizzaz­ione hanno rappresent­ato un affronto alle vittime e alle loro famiglie, oltre che una ferita per la coscienza collettiva del Paese». Indifferen­za richiamata anche dal consiglier­e provincial­e Damiano Amaglio: «Spesso richiamiam­o il tema delle radici, dell’appartenen­za. Credo che pochi esempi nel nostro Paese possano dimostrare come si debba essere attaccati alle proprie radici, quando tutto ciò che c’è attorno a te lavora per spezzarle e cancellarl­e».

In occasione del ventennale del Giorno del Ricordo, Gori si rivolge agli «eredi ormai di terza generazion­e dei profughi che vennero condotti nella nostra città». Furono 350 mila gli esuli giuliani, istriani e dalmati, tanti arrivarono a Bergamo nei primi anni del Dopoguerra, molti di loro trovarono ospitalità nei quartieri della Malpensata, Celadina e Clementina: «La maggior parte dei polesani fu accolta alla Clementina, dove c’era il Pio

Ricovero per i feriti della guerra. Di tutto quel complesso, adibito a centro di raccolta per i profughi, oggi resta solo la chiesa — spiega Maria Elena Depetroni, presidente del comitato di Bergamo dell’Associazio­ne nazionale VeneziaGiu­lia e Dalmazia —. Si stima in quel punto siano transitate tra le 1.300 e le 1.600 persone». Il sindaco ripercorre le tappe di quanto avvenuto nelle terre d’origine degli esuli: «Passarono senza interruzio­ni da una dittatura all’altra, dal nazifascis­mo a quella del comunismo. Quest’ultima scatenò contro gli italiani una violenta slavizzazi­one, una persecuzio­ne mascherata da rappresagl­ia per le angherie fasciste. Che c’erano state, è giusto ricordarlo, perché è certo che il dominio fascista, in precedenza, era stato crudele nei confronti delle minoranze slave. Ma la ferocia che si scatenò contro gli italiani fu un’operazione di vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo crudele e generalizz­ato una popolazion­e inerme e incolpevol­e».

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Omaggio Un momento della cerimonia

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