Medeghini: chiesti 34 anni di cella per gli imputati del crac del caseificio
Le pene più pesanti proposte per il capostipite Giovanni e il figlio Arturo
Le accuse sono pesanti e altrettanto pesanti sono le richieste di condanna avanzate dal pm Michele Stagno nel processo per il crac del Caseificio Medeghini. Per la bancarotta fraudolenta del 2010 sono stati chiesti 10 anni di carcere per Arturo Medeghini e per il padre Giovanni, 8 per il fratello Severino, 3 anni per Mauro Mor, membro del cda e poi liquidatore e 8 mesi per Costanzo Bonomi, del collegio sindacale, Matteo Franceschini , Ivan Mora e i professionisti di cui si avvaleva l’azienda, Attilio Bonetti e Pamela Cavallari. Tutti erano finiti in manette nel luglio del 2015, a conclusione dell’indagine «Ghost Cheese» condotta dalla Guardia di Finanza , partita dal fallimento del caseificio decretato nel 2010.
Nell’inchiesta erano coinvolte un’ottantina di aziende del gruppo Medeghini (con «vorticosi movimenti di denaro tra loro» avevano evidenziato gli inquirenti) di cui 21 andate poi fallite, tra il 2010 e il 2013, con un passivo di circa 600 milioni di euro ed erano stati sequestrati beni per oltre 4 milioni di euro. Secondo l’accusa, dopo aver presentato un bilancio in rosso di 106 mila euro (che aveva avviato il procedimento di messa in liquidazione della società nel 2009) i Medeghini avevano tenuto condotte distrattive e dissipative, riassunte nelle 1500 pagine del verbale stilato dalla Guardia di Finanza a conclusione dei due anni di indagine durante i quali erano stati analizzati, tra l’altro, oltre 4mila rapporti finanziari attraverso una serie di controlli incrociati.
L’intento, secondo gli inquirenti era quello di arrivare ad una solidità finanziaria, solo apparente, per poter avere credito dalle banche . Tra le operazioni contestate c’è la dismissione della Medeghini srl (di cui furono svuotate le casse in fase di fallimento) in favore della Medeghini Casearia, ma senza alcun corrispettivo. E poi contabilità ritoccata, false compensazioni e fatturazioni per operazioni mai avvenute.
Nella documentazione raccolta dalle Fiamme Gialle c’era anche una fattura da 55 milioni di euro per «acconto su forniture future di latte», emessa da una delle società del gruppo , secondo gli investigatori, esclusivamente per nascondere il dissesto. Era infatti emerso, facendo i conti, che un tale importo era giustificabile solo con il possesso di circa un milione di quintali di quote latte e la Medeghini ne possedevano solo 178 mila quintali. Nell’inchiesta, successivamente erano finiti anche tre istituti di credito ( e 26 funzionari) che si erano prestati a finanziare le attività del gruppo Medeghini, trasformando linee di credito senza garanzie reali in finanziamenti garantiti, nonostante il dissesto fosse già evidente. Era così tramontata l’era del caseificio che negli anni d’oro era arrivato a contare oltre 500 dipendenti, con un fatturato di 450 milioni di euro e un indotto di 1000 persone. Numeri che celebravano una delle realtà storiche italiane del settore lattiero caseario. La parola passa ora alle difese che pronunceranno le loro arringhe il 2 maggio. il presidente del collegio giudicante, Anna Di martino ha già fissato anche l’udienza in cui sarà letta la sentenza: si tonerà in aula il 12 maggio. (l.g.)