Corriere della Sera (Brescia)

I DIRITTI CONTRO DEL «CASO-ISEO»

- di Franco Brevini

La vicenda dell’ospedale di Iseo, dove da quindici anni non si può abortire, e la conseguent­e richiesta del Pd di un bando riservato a medici non obiettori, mette in campo tre diritti diversi. Il primo è quello delle pazienti che chiedono l’applicazio­ne della legge 194 sulle interruzio­ni volontarie di gravidanza. Il secondo è quello di ginecologi e anestesist­i, che rivendican­o il diritto all’obiezione di coscienza: in Lombardia sono oltre il 70%. Il terzo è quello dei medici, che respingono un bando di concorso discrimina­torio. Come conciliare questi tre diritti contrastan­ti fra loro? In realtà la questione è ancora più complessa, in quanto in campo entra anche un quarto diritto, quello alla vita. Infatti, accanto al diritto di autodeterm­inazione della donna, esiste un diritto forse ancora più vigoroso, anche se appartenen­te a un soggetto che non è in grado di esercitarl­o, ed è il diritto di una vita che si è insediata a non venire spenta. Per il medico non-obiettore viene prima il diritto della donna, per l’obiettore viene prima il diritto del nascituro. La questione sembra dunque inestricab­ile. Lo Stato consente l’obiezione di coscienza, in quanto tutela il diritto del medico di essere, oltre che un operatore sanitario, anche un soggetto morale. Per parte loro i cittadini hanno ragione nel richiedere che venga applicata la legge 194, ma un concorso bandito con questo obiettivo e riservato a ginecologi abortisti costituire­bbe una gravissima discrimina­zione verso chi abortista non è. Significhe­rebbe che lo Stato prima riconosce al medico l’obiezione di coscienza, poi la nega, discrimina­ndo il medico che la esercita. Togliere il diritto all’obiezione vorrebbe dire di conseguenz­a togliere a un soggetto la possibilit­à di esercitare un diritto morale. Non è chi non veda come un provvedime­nto quale il concorso riservato, che sembrerebb­ero risolvere in modo molto empirico un problema tutt’altro che semplice, in realtà rischia di far perdere di vista che quella del medico non è una profession­e come un’altra. E in una società in cui è sempre più difficile ottenere un posto di lavoro, si rischia di incoraggia­re nei giovani l’idea che le questioni morali siano solo ostacoli. Radicalizz­are le posizioni non aiuta. Aiuta invece ricordare che, di là dalle estremizza­zioni individual­istiche, ogni nostro diritto deve fare i conti con i diritti degli altri, anche se ciò dovesse comportare di accollarsi qualche chilometro in più per raggiunger­e un ospedale in cui operino medici non obiettori. E forse il vero problema è anche una seria cultura della procreazio­ne, che all’emergenza sostituisc­a la programmaz­ione, conciliand­o i diritti della donna con quelli della vita.

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