IL TEATRO, LA CITTÀ E LE SUE STORIE
Èuna sinfonia di destini quella che si vede in «Evolution City Show. Brixiae editio», lo spettacolo mobile allestito dal Ctb (oggi l’ultima replica). Una performance che ribadisce una verità assoluta: non c’è palcoscenico migliore della città e il teatro insegna a vedere la città con occhi nuovi, a capire non gli spazi, che sono solo contenitori quantitativamente misurabili, ma i luoghi, che sono quegli scenari su cui si è sedimentata la storia con il suo lento metabolismo. Alle stregua della città calviniana di Ersilia, i luoghi sono un tessuto di fili che simboleggiano i rapporti umani di una comunità civile e non di una folla solitaria, il cui il passato è leggibile, anzi fa qualità e differenza. La città si porge come stratigrafia di storie individuali e collettive, un deposito di residui di lavorazione di vissuti. La sua memoria è solida (monumentale), ma i suoi luoghi hanno un’anima. È questa l’idea portante di Evolution City Show, un viluppo di racconti incrociati che la mirabile regia di Fausto e la sapiente drammaturgia di Marco Archetti (collaborazione di Silvia Quarantini) hanno trasformato in metope di informazione genetica. Karen Blixen ha scritto che condensare le vite in racconto è una grande gioia, «forse l’unica felicità che un essere umano possa trovare su questa terra». Una felicità creativa che sicuramente hanno provato gli autori, ma anche gli spettatori, seguendo queste storie itineranti ambientate in angoli e luoghi inediti, ignorati dall’abitudine, sconosciuti dagli avventori distratti. Quella che si è vista è una costellazione di racconti (25 personaggi bresciani del passato, illustri e non illustri, eminenze grigie, artisti, eroi del quotidiano e perfino una orgogliosa puttana) che compongono la complessità e il mistero dell’esistenza nei secoli e testimoniano come ognuno di loro abbia dato senso alla propria comparsa su questo mondo, disponendo di merito, fortuna o impari opportunità. Il tutto dentro una cornice di futuro distopico ascoltabile in audio-guida, che apre però ad una speranza evolutiva, coniugando il futuro di Kubrick e gli eterni di Severino. Lo ripeto: il lavoro di rappresentazione e di scrittura è stato immenso. «To pathei mathos» dice Eschilo nell’Agamennone: è solo mediante il dolore legato all’esperienza individuale che si può davvero imparare e il teatro è il luogo ancestrale e contemporaneo in cui avviene questa riflessione, questo scavo identitario. Non c’è bisogno di macchine sceniche, il teatro ha bisogno solo di parole e di un pubblico per esistere. Evolution City Show è stato un progetto originale, degno di una città veramente europea.