Sanità: così non va
Dovere civile di chi governa la sanità è avere una visione prospettica, per ritrovare e rendere effettivi e praticabili i principi e i valori del nostro servizio di sanità pubblica, servizio, non sistema, universale, nessuno escluso, su tutto il territorio nazionale, equo e solidaristico, accesso a cure appropriate, indipendente men te dalla condizione economica. Mi chiedo allora se è lecito che la regione Lombardia, pur in funzione della propria autonomia organizzativa, possa stravolgere, con le 2 delibere sulla cronicità, la 6164 del 30 gennaio 2017 e la 6551 del 4 maggio 2017, fino di fatto a contro-riformare, le leggi nazionali e quindi gli assetti fondanti della sanità pubblica. Mentre altre regioni hanno affrontato il problema della sostenibilità dando luogo al riordino della gestione, soprattutto riorganizzando la funzione di controllo e monitoraggio, la Lombardia gioca la carta di una diversa gestione, nel senso che cambia la formula canonica, andando oltre l’azienda. È dunque una proposta, che, giocata interamente sul piano della gestione, cioè del gestionalismo, cioè della soluzione che da sola pretende in maniera metafisica di risolvere tutti i problemi della sanità, come se fosse una bacchetta magica. Cambiare solo la gestione per affrontare i problemi di sostenibilità di un sistema a dir poco complesso non è una riforma, tanto meno una rivoluzione. Il cuore della proposta è l’adozione non di un sistema di retribuzione basato sul costo complessivo dei servizi che servono alla Presa in carico della cronicità, ma è la standardizzazione della domanda, quindi dei consumi a priori. Non solo, definiti i costi standard, anziché affidare la gestione dei percorsi di cura alle aziende ospedaliere (asst) o alle agenzie di tutela della salute (ats) introduce una figura nuova, il gestore che può essere in competizione con le stesse aziende. Il quadro è a tutt’oggi confuso e incompleto, una sanità basata su tariffe e risparmio, su competizione e mercato, sulla presenza opzionale dei medici di medicina generale, sull’assenza di efficaci interventi di prevenzione e di supporto all’autocura. Il tutto avviene in un contesto privo dell’ infrastruttura considerata fondamentale e irrinunciabile in ogni strategia seria di prevenzione, controllo e gestione delle malattie croniche: il distretto e l’organizzazione delle cure primarie. Lo stato di malato fragile è decretabile dal medico curante, poiché è l’unica figura che possiede gli strumenti per coniugare i parametri organici e patologici con quelli sociali. Poiché penso che c’è grande differenza tra l’obbedienza cieca alle regole e l’obbedienza illuminata dallo spirito critico, credo ci sia molto bisogno su questo tema di riflessione rigorosa, di non adeguamento immediato a un progetto pieno di aree grigie e soprattutto di condivisione con i cittadini e le cittadine.