Patrucco, lo show-mano è sbarcato a Paspardo
L’ironia tra politica e costume anima i borghi camuni
«Mi piace l’idea di una piazza raccolta, dove si può creare un’atmosfera confidenziale»: Alberto Patrucco, protagonista della serata d’apertura del Festival «Dallo Sciamano allo Showman», fa centro. Lo spirito della rassegna, di cui il comico è una vecchia conoscenza, è proprio questo, ossia coinvolgere borghi e comunità di montagna in una proposta culturale che non punta ai grossi numeri ma alla qualità e a una modalità di fruizione più coraggiosa. Sarà quindi in piazza Umberto I (in caso di pioggia l’evento si sposterà nel Teatro Parrocchiale) a Paspardo, piccolo comune della Valle Camonica, dove oggi alle 21 Patrucco porterà il suo spettacolo «Ancora, vedo buio!» (ingresso gratuito): luogo meno noto ai circuiti classici, non per questo privo di fascino. E da qui prenderà il via la XV edizione del Festival della canzone umoristica d’autore, quest’anno dedicata al paroliere tv Sergio Bardotti, scomparso una decina di anni fa. E l’ironia resterà il filo conduttore della manifestazione. Alberto Patrucco nel suo spettacolo, fra monologhi e ballate eseguite alla chitarra in un work in progress su politica, scandali, vizi e malesseri sociali, giocherà su un tema spiazzante, quello del pessimismo comico: «è la corrente di comicità su cui sto lavorando da un po’. Anzi più che una corrente, uno spiffero. Ho scelto un modo per far ridere e capire allo stesso tempo, scombinando un po’ i giochi». È un pessimista? «Perché non esserlo? Ci azzecchi quasi sempre e, se sbagli, vai incontro a una piacevole sorpresa!» Su quali temi verterà il suo pessimismo comico? «Niente suocere, né mogli, né tratti inguinali. Sono argomenti scontati e stanno penalizzando il cabaret. Vince purtroppo la legge di gravità». Lei cosa preferisce? «Temi di attualità, non banali e non ripetitivi. Voglio liberare una risata». Un sorriso amaro, trattandosi di pessimismo: «un’ironia intelligente. Il pessimismo c’è ma non ci si rassegna». Il titolo è «Vedo buio». Niente prospettive? «Usciti dal tunnel purtroppo riemergeremo alla penombra, non alla luce. Ma come dicevo, non saremo rassegnati». Cosa le piace di questo Festival? «L’attenzione alla qualità. Le scelte artistiche sono molto curate. Agli spettacoli non si viene per partecipare alla solita liturgia del cabaret. Si va perché c’è un legame con la rassegna». Il cabaret c’è solo in questi eventi o esiste ancora? «È un genere che non sta benissimo. Gli argomenti sono sempre quelli e non c’è più quel gusto, quel guizzo. La tinta è sempre quella». E allora come si salva l’ironia? «Partendo proprio dalla provincia. Da quella dimensione in cui la satira prende spunto da cose piccole, non gridate, non strombazzate. Piuttosto che tuffarsi nell’ overdose su Renzi, meglio rischiare con le notizie più originali. La provincia è ricchissima di spunti».