Broli: quanto coraggio nella storia di Poliambulanza
Enrico Broli, commercialista 72enne, è stato il primo presidente della Fondazione Poliambulanza, nata 12 anni fa per assumere proprietà e gestione dell’ospedale. Avrebbe dovuto reggere la presidenza per un solo triennio, è stato confermato per 4 mandati. Rileggendo la storia la iscrive sotto la categoria del «coraggio».
Abbiamo cominciato a meditarla nel 2008, su impulso di madre Carmela e don Giacomo. Era giusto lasciare che un ospedale cattolico finisse nel settore profit, o si poteva fare qualcosa? All’epoca il Sant’Orsola aveva 400 posti letto e 560 dipendenti, noi 330 posti letto e circa 700 dipendenti. L’acquisizione poneva un problema di salto dimensionale. L’abbiamo fatto, nessuno è stato licenziato. Finanziariamente non ci sono stati problemi, l’operazione non è stata fatta a debito ma con risorse nostre: l’acquisizione è costata 26 milioni a cui vanno aggiunti i 12 milioni per la realizzazione della nuova torre di degenza. Tenga conto che dal 2010 al 2016 Poliambulanza ha fatto 140 milioni di investimenti, tutti con soldi propri. Avevamo scorta finanziaria».
C’era anche un problema di integrazione fra le due strutture.
«Vero. All’inizio c’è stato qualche problema, ma è stato rapidamente superato. Con questa acquisizione abbiamo aperto Riabilitazione, che prima non c’era, e abbiamo potenziato gli altri reparti. In più abbiamo aperto nuovi reparti non acquisiti dal Sant’Orsola come Radioterapia e Medicina nucleare».
In tema sanitario il rapporto con la Regione è vitale. Com’è stato il vostro?
«Di massima collaborazione. Siamo stati sempre estremamente ligi e non abbiamo mai chiesto nulla oltre i limiti assegnati. Ogni anno abbiamo ‘prodotto’ oltre i livelli di budget: 3 milioni nel 2016, 20 milioni in cinque anni. Siamo sempre riusciti a coprirli da soli». E i rapporti con il Civile? «Formalmente sembra che vada tutto bene ma la competizione è forte. Noi non parliamo mai male del Civile, non sempre è così dall’altra parte».
Cosa vi ha resi competitivi e attrattivi per medici e primari, rispetto all’ospedale pubblico?
«La snellezza, l’autonomia lasciata ai clinici, la rapidità decisionale, la totale trasparenza di qualsiasi operazione venga fatta in termini di investimenti, acquisti, incarichi, e non in termini verticistici. Adesso stiamo facendo ad esempio le nuove sale di Cardiochirurgia, la cosiddetta sala ibrida, che consente a tre équipe di lavorare contemporaneamente su un caso. L’ideazione e l’allestimento è frutto della collaborazione fra i primari di Cardiologia, Emodinamica e Chirurgia vascolare. Non abbiamo vincoli negli appalti, anche se naturalmente facciamo gare, e per la scelta dei primari ricorriamo a un search commitee interno». I numeri vi danno ragione. «Oggi abbiamo lo stesso numero di accessi al pronto soccorso rispetto al Civile: 83mila all’anno. Ma mi lasci citare un altro motivo di vanto». Prego. «È il centro di ricerca ‘Menni’ diretto dalla professoressa Ornella Parolini, che due anni fa è diventata ordinario di Biologia molecolare al Gemelli. Conduce ricerche sulle cellule staminali da placenta: sulla base dei suoi risultati hanno aperto altri centri di ricerca nel mondo, e in Usa e nel Giappone sono già arrivati a livelli applicativi». Il vostro rapporto con le Università? «Con la Statale di Brescia non abbiamo rapporti, se non per la convenzione per gli specializzandi, che abbiamo anche con altre sei atenei. Con la Cattolica invece abbiamo un rapporto diretto attraverso il corso di laurea in Scienze infermieristiche gestito da noi e frequentato da 300 studenti».
Magari non ha aiutato il fatto che i primi rettori dell’Università bresciana siano stati primari del Civile…
«In realtà, fin dalle origini, ci fu un patto fra gentiluomini fra Ornaghi e Preti sul fatto che non si sarebbe generata alcuna competizione a Brescia per Medicina. Va detto che con il nuovo rettore, Maurizio Tira (un ingegnere, ndr.) s’è creata un’empatia che magari sfocerà in nuove forme di collaborazione».
Lei ha guidato una delle poche istituzioni cattoliche che in questi anni non è andata in crisi, anzi è cresciuta enormemente...
«Infatti quando andavo a fare la mia visita annuale a mons. Monari mi accoglieva sempre dicendo: ‘Finalmente qualcuno che non ha problemi da sottopormi!’. La Poliambulanza è stata un’esperienza che mi ha appassionato e che resterà dentro di me. Mi manca molto la Poliambulanza, non la presidenza, e conserverò per sempre dentro di me questa cosa».
Una raccomandazione, un consiglio al suo successore, il professor Mario Taccolini, che è anche prorettore della Cattolica?
«Nessuna raccomandazione, solo un augurio. Gli auguro di trovare la stessa corrispondenza che ho trovato io all’interno del corpo della Poliambulanza».